Macinando chilometri, dalla Finlandia in Giappone: "Ovunque tu sarai"
Al seguito dei giallorossi in tournèe c’era anche Juha Ahtinen: "Eravamo dall’altra parte del mondo ma sempre tutti uniti dal nostro grande amore"
«Maciniamo chilometri”: è l’inizio di un celebre coro dei tifosi romanisti ed è probabilmente il mantra di un romanista in particolare, Juha Ahtinen, membro del Rom Club Finlandia che segue la squadra in ogni parte del mondo e non si è fatto mancare neanche la tournée in Giappone da poco conclusa. «Per me non è importante dove gioca la Roma o contro chi - ci ha spiegato – conta solo essere presente e aiutare a sostenere la squadra, ovunque e comunque». E quando dice «ovunque e comunque», va inteso in senso letterale.
La tua stagione da tifoso è iniziata ben prima della tournée.
«Prima di partire ero già stato allo stadio per diciannove volte. Sono andato a luglio in Portogallo, poi in Israele, ho visto tutte le gare all’Olimpico con anche l’abbonamento per le coppe e sono andato anche alle trasferte a Salerno, Torino, Udine, Milano, Helsinki...Avevo assistito a una partita della Roma in dieci Paesi ma non ancora in Giappone».
Quindi non hai esitato a partire anche stavolta.
«Alcuni miei amici e colleghi mi dicevano che sarebbe stato troppo costoso, oltretutto per vedere solo amichevoli. Io non ho avuto nessun dubbio sin dall’inizio e la mia famiglia se lo aspettava. La mia è una passione che non conosce prezzi ed è spesso una possibilità di incontrare altri romanisti che gia conosco e per creare nuove amicizie. Ogni volta il nostro Roma Club diventa anche più conosciuto. Questa squadra ormai è globale e unisce tutti».
Sei stato a stretto contatto anche con i giocatori della squadra e del club?
«Sì, a Nagoya ero nello stesso hotel della squadra. Sono riuscito a salutare velocemente Mourinho e ho avuto modo di conoscere Ryan Friedkin, un incontro che mi ha colpito. Abbiamo parlato a lungo, si è interessato della mia storia, mi ha ringraziato per la mia lealtà e la passione e mi ha detto quanto il club apprezzi la vicinanza dei tifosi. Io gli ho regalato la sciarpa del nostro gruppo che lui ha accettato con piacere. È stato davvero un bel momento, sarebbe fantastico un giorno riuscire a parlare con il papà, il grande presidente Dan».
Eri presente a entrambe le amichevoli?
«Certamente. A Nagoya l’atmosfera è stata particolare perché non si poteva cantare, però ho incontrato tanti amici tra cui il tifoso che portava lo striscione con “Nun c’è problema”. Poi a Tokyo ho partecipato anche agli eventi a “Casa Roma”, ma la serata della partita con lo Yokohama allo stadio è stata indimenticabile. In campo eravamo sotto e in difficoltà e in quel momento ho visto molte facce deluse e allora ho iniziato a incitare io perché c’era da cantare di più, di spingere ancora. La squadra non ha mollato mai e alla fine ha ottenuto il pareggio. Però a parte la partita in sé c’è un aspetto che è stato davvero incredibile».
Quale?
«Allo stadio eravamo tutte persone che venivano da ogni parte del mondo, non avevamo una lingua comune ma appena è iniziata la partita siamo diventati tutti fratelli. Contro lo Yokohama potevamo cantare e c’erano dei ragazzi della Curva Sud che hanno guidato l’orchestra ed è stato uno spettacolo. Uno di loro mi ha detto “Sei uno di noi” e io mi commuovo ancora a pensarci. Noi romanisti siamo unici, sognatori e trascinanti, dobbiamo saper soffrire, ma sappiamo anche cantare e festeggiare come pochi. Di solito i giapponesi sono calmi e silenziosi, ma durante la serata si sono lasciati coinvolgere e uno mi ha scritto con Google Translate che non si sarebbe aspettato di vivere tante emozioni. Eravamo tanti e tutti uniti dal nostro grande amore per la Roma».
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