AS Roma

Roma ai Mondiali: dal 1924 al 1950, Ferrairs IV e Guaita

I due giallorossi guidano l’Italia di Pozzo al successo casalingo. Nel 1938 i nostri vincitori sono 4. Nel “Maracanazo” protagonisti due futuri romanisti

L'Italia festeggia la vittoria del Mondiale del 1938

L'Italia festeggia la vittoria del Mondiale del 1938 (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Lorenzo Latini
18 Novembre 2022 - 11:30

Non poteva non essere lui, Attilio Ferraris IV, il primo calciatore della Roma a vestire la maglia della Nazionale. Lui, il nostro primo capitano, il condottiero dei giallorossi agli albori, dal Motovelodromo Appio a Campo Testaccio, fu l’anima dell’Italia ai Mondiali casalinghi del 1934. E pensare che sembrava destinato a non giocarli neanche: a trent’anni compiuti, e con uno stile di vita piuttosto sregolato, “Tilio” fu convinto a tornare in azzurro dopo un anno e mezzo da Vittorio Pozzo. Il leggendario Commissario tecnico (l’unico ad aver conquistato due titoli iridati) venne a Roma apposta per convincerlo: lo trovò - così narra la leggenda - che fumava e giocava a biliardo. Ma quel che conta è che alla fine Ferraris IV disse di sì, e fu l’autentico trascinatore degli Azzurri. Con lui c’erano anche altri due romanisti: Guido Masetti e Enrique Guaita. Il primo non giocò neanche un minuto, mentre il secondo segnò il gol decisivo per portarci in finale nell’1-0 contro l’Austria del 3 giugno. Una settimana più tardi, grazie al 2-1 sulla Cecoslovacchia (maturato ai tempi supplementari), l’Italia conquistò proprio a Roma il primo Mondiale della sua storia, il secondo disputato in assoluto. In campo anche stavolta i due romanisti Ferraris IV e Guaita. Oltre a loro, figurava Eraldo Monzeglio, che approdò in giallorosso un anno più tardi e all’epoca era al Bologna.

Poker d’assi

Monzeglio fu però a tutti gli effetti un romanista a vincere il Mondiale quattro anni più tardi, quando la Nazionale concesse il bis in Francia: la rappresentativa giallorossa in questo caso fu di ben quattro elementi, perché c’era ancora una volta Masetti (anche stavolta riserva), e poi Donati e Serantoni. Quest’ultimo, centrocampista dal dinamismo inesauribile, fu l’unico romanista titolare in finale, il 19 giugno 1938 a Colombes, nel 4-2 rifilato all’Ungheria. Serantoni, peraltro, sarà anche allenatore giallorosso, seppur per poche partite, nella sfortunata stagione 1950-51, terminata con la retrocessione. A proposito di futuri tecnici: in quell’Italia di nuovo campione militava anche Alfredo Foni, che la Roma la allenerà tra il 1959 e il 1961, portandola alla finale di Coppa delle Fiere poi vinta con Carniglia in panchina. 

Insomma, c’era tanto, tantissimo giallorosso nelle prime due vittorie mondiali dell’Italia: bisognerà poi attendere 44 anni per rivedere un romanista conquistare il titolo iridato con la Nazionale; si tratta, ovviamente, di Bruno Conti. Ma questa è un’altra storia.

L’impresa della “Celeste”

C’era parecchia Roma (seppure futura) anche nel “Maracanazo” del 16 luglio 1950, quando a sorpresa l’Uruguay batté in rimonta il Brasile padrone di casa davanti a circa 200.000 persone, dando vita a uno dei più grandi drammi calcistici di sempre. Era la partita conclusiva di un gironcino, quella, più che una vera e propria finale, ma ai verdeoro sarebbe bastato anche un pareggio per laurearsi campioni del Mondo. E a inizio secondo tempo sembrava cosa fatta, quando Friaça segnava facendo esplodere il Maracanà. Ma a quel punto salì in cattedra il capitano della “Celeste”, Obdulio Varela: intuendo la psicologia del momento, tutta a favore dei padroni di casa, inscenò una finta protesta con il direttore di gara al solo scopo di ritardare la ripresa del gioco, facendo così raffreddare giocatori e tifosi brasiliani. Ripreso l’incontro, il futuro romanista “Pepe” Schiaffino siglava il pareggio al 66’, gelando gli spalti. Giocando senza aver più nulla da perdere, l’Uruguay riuscì nel miracolo a 10’ dalla fine: uno-due di Ghiggia, che scaricava e quindi riceveva il pallone di ritorno; diagonale secco sul primo palo che coglieva impreparato il portiere Barbosa, 2-1 e titolo mondiale all’Uruguay. La funambolica ala, all’epoca in forza al Peñarol, sbarcava a Roma tre anni più tardi, nel 1953, e vi rimaneva fino al 1961, vestendo anche la fascia di capitano. Con Schiaffino nella Capitale si incroceranno solo per un brevissimo periodo, ma i loro nomi sono per sempre scritti negli annali della storia del calcio mondiale, oltre che di quello giallorosso. Perché, come dirà Ghiggia in un’intervista di tanti anni dopo, ''soltanto tre persone hanno ammutolito il Maracanà: il Papa, Frank Sinatra e io''. 

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