La storia di DiFra a Roma: da Bergamo a Oporto, passando per il 3-0 al Barça
Alti e bassi sulla panchina romanista, con il picco toccato nella vittoria contro il Barcellona. Eclatante la prima Champions, sfortunata la seconda. Discontinuo in A, disastroso in coppa
Sulle montagne russe. Le due stagioni di Eusebio Di Francesco sulla panchina della Roma sono state caratterizzate da vette epocali e rovinose cadute. Dalla vittoria all'esordio assoluto in partite ufficiali arrivata a Bergamo il 20 agosto 2017, fino alla gara di Oporto che ha rappresentato il canto del cigno, la squadra guidata dal tecnico abruzzese è riuscita a stupire nel bene e nel male. Con una netta tendenza recente verso il secondo che ha di fatto determinato le sorti dell'allenatore.
Ma è tutta la parabola romanista di Difra - dalla genesi all'epilogo - a dividere. Lo stesso suo approdo nella Capitale riscuote pareri discordanti. Parte della piazza riconosce in lui il profilo giusto (aspetto mite e rassicurante, conoscenza diretta del club) per riportare alla normalità un ambiente ancora in preda all'alta tensione della seconda era spallettiana e al trauma dell'addio di Totti. D'altro canto, l'appeal non può essere (ancora) quello del tecnico di grido. Il suo curriculum è poco corposo e trova il picco nella qualificazione in Europa League alla guida del Sassuolo. Ma l'exploit coi neroverdi è isolato rispetto al resto della carriera e comunque circoscritto a un'esperienza di provincia, diversa in tutto dal clima che accompagna la Roma.
Eppure la scelta di puntare su Di Francesco viene accolta tutto sommato in modo benevolo in ambito mediatico. Anche il primo scivolone subito in avvio di campionato proprio contro Spalletti, appena dopo il debutto vincente ma sofferto, è addebitato alle scandalose decisioni di arbitro e Var. L'esordio casalingo nel girone di ferro in Champions contro l'Atletico fa venire i brividi, esaltando solo le doti di Alisson. Il maltempo che fa rinviare la gara di Genova con la Samp non aiuta a trovare una riscossa immediata e allontana già la vetta. Ma la squadra sfrutta il calendario favorevole e coglie quattro affermazioni, che le permettono di risalire la china.
È il Napoli di Sarri a interrompere il cammino. Ancora all'Olimpico, che resterà campo poco amico per tutta la stagione. I successi però proseguono in trasferta, dove viene colto il record assoluto di vittorie consecutive per la Serie A. In mezzo arrivano anche affermazioni roboanti in Europa: su tutte la doppia sfida col Chelsea, finita 3-3 a Stamford Bridge quasi per caso ma sciorinando forse il più bel calcio del biennio; e 3-0 in Italia, trionfo che lancia verso un insperato passaggio del turno addirittura da primi del girone. È proprio la Champions la panacea dei mali romanisti, che si manifestano fra fine dicembre e febbraio.
Nei circa due mesi di black out la squadra perde quota dentro i confini, salvo rifarsi con gli interessi in campo continentale. Dove prima elimina lo Shakhtar agli ottavi e poi compie l'impresa del secolo, rimontando l'1-4 dell'andata ai marziani del Barcellona. Quel 3-0 rappresenta l'apice del periodo difranceschiano, ormai riconosciuto condottiero europeo, eliminato a un passo dalla finale di Kiev solo da discutibilissime decisioni arbitrali nel penultimo atto con il Liverpool. Ma la fiducia acquisita in coppa viene riversata anche in campionato, dove termina il balbettio che ha condizionato il resto del percorso e viene conquistato con relativa tranquillità il terzo posto che vuol dire riproposizione fin da settembre successivo nel massimo torneo continentale.
Altro giro, poca corsa
Lo straordinario percorso europeo frutta a Di Francesco un rinnovo di contratto fino al 2020. Fresco di legame rinsaldato, il tecnico ottiene dal suo principale sponsor Monchi che larghissima parte della campagna acquisti sia completa già prima del ritiro, svolto a Trigoria per avere le migliori condizioni possibili. L'estate trascorre senza scossoni tecnici e non c'è alcuna traccia di quegli infortuni che hanno funestato gli anni precedenti. Le condizioni sembrano propizie per una stagione con meno chiaroscuri rispetto alla prima, quantomeno in campionato. E ancora una volta il debutto è segnato da una vittoria corsara, a Torino. Ma di nuovo già alla seconda giornata suonano i campanelli d'allarme. Il 3-3 con l'Atalanta è differente (in peggio) rispetto al ko dell'anno precedente con l'Inter: privo di qualsiasi recriminazione arbitrale, mette anzi sotto i riflettori le prime pecche che diventeranno poi peculiari. Prime fra tutte, la scarsa tenuta mentale e la più che deficitaria solidità difensiva, soltanto fino a pochi mesi prima indiscutibile punto di forza.
Anche in Europa si comincia in salita, con una sconfitta senza discussioni al cospetto del Real Madrid al Bernabeu. Lo stop è inopinato per modalità e proporzioni, ma prevedibile nell'ambito di tempi bui anche entro i confini, dove dopo l'esordio coi granata arrivano quattro partite senza vittorie contro avversari tutt'altro che insormontabili. Una mini ripresa con vittoria nel derby e in coppa illude che il peggio sia alle spalle, ma la sveglia suona di nuovo in casa, ancora di fronte a una squadra di altra categoria: la Spal sbanca l'Olimpico e fa ripiombare la Roma nel baratro, poi ritoccato poche settimane dopo a Udine e a Cagliari. Il periodo migliore è quello post-natalizio, con otto risultati utili in Serie A, che però sono macchiati anche dall'ennesima rimonta subita a Bergamo e intervallati dal dramma sportivo che si consuma in Coppa Italia a Firenze. Di Francesco continua ancora, ma la sua panchina scricchiola e l'ultima settimana fra derby e Porto diventa decisiva. Da ieri la sua esperienza romanista è consegnata agli almanacchi.
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