AS Roma

L'amaro in bocca

La partita vissuta sugli spalti: alla fine il sentimento di delusione ha lasciato spazio alla fredda riflessione che la Roma non avrebbe potuto fare tanto di più

Camara, Smalling e Ibanez

Camara, Smalling e Ibanez (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Federico Vecchio
25 Ottobre 2022 - 13:00

“Ma perché alzano la musica? La devono senti’ bene ’sta storia del Vesuvio!”. La voglia - irrefrenabile, va detto - di spiegare, anche a brutto muso, che ’sta storia del Vesuvio, oltre ad essere veramente povera di contenuti, rischia di farci giocare il derby senza la Curva, è enorme. E per fortuna che un altro abbonato evidenzia sia l’una che l’altra circostanza (“A me ’sta storia del Vesuvio nun me fa ride; e se stamo a da’ la zappa sui piedi”). Questo il siparietto che mi accoglie in Tevere. A quel punto, prima di iniziare, c’è da ricordare Francesco Valdiserri (la cui scomparsa è devastante e qui il silenzio delle parole nasce dall’impossibilità di trovarne di utili per descrivere lo sgomento e l’enorme voglia di stringere in un abbraccio la sua famiglia). Si inizia. I primi due minuti fanno subito capire quale sia il problema (“Questi corono e se la passano: sembra che so’ ventidue, no undici”) e la prima fuga di Zaniolo, che si trascina dietro palla e marcatore, è il segnale che l’arma, per noi, non può che essere quella (“Come la palla ariva, subito a Zaniolo: poi ce pensa lui”). Poi, però, a seguire, iniziano i problemi. Zaniolo, che pure ha il pallone sul destro (su per giù, sulla stessa maledetta mattonella di Osimhen), non calcia in porta, perché dal destro prova a portarsela sul sinistro. E lì parte della Tribuna si domanda, con una riflessione, diciamo, pacata, perché mai non abbia tirato di prima (“Deva da tira’! Nun è che è vietato segna’ i go cor destro!”). Piano piano, però, la partita prende una piega che piace poco. Loro provano a fare gioco; noi proviamo a scavalcare il centrocampo con lanci lunghi. E la Tevere non apprezza molto questo tipo di soluzione (“Er CONI ce deva fa’ lo sconto, perché er centrocampo nun je lo rovinamo”; “sembramo er Petrarca Padova”), mentre apprezza, e non poco, la prova difensiva, evidenziandone la solidità (“A a difesa la Meloni nun ce doveva mette Crosetto: ce doveva mette Smalling”). Si temono molto le giocate veloci di un Napoli davvero forte (“Questi giocano proprio a pallone e noi sembra che li stamo a guarda’”) e nell’aria, purtroppo, inizia a materializzarsi quello che poi sarà (“Nun ce pò pensà sempre e solo Smalling. Perché se ne sbaja una, questi stanno ’n porta”). Ma il primo tempo si chiude soltanto con lo spavento del rigore prima assegnato e poi tolto (“Irrati nun l’ha capito che Rui Patricio è ’n portiere vero, che mica lo passi facile”) e con la constatazione che Kim, con i piedi, sarebbe poco pratico (“Nun sa gioca’ coi piedi: hai mai visto ’n cinese che sa gioca’ bene a pallone?”), con pronta ed immediata individuazione, da parte di un altro abbonato, dello strafalcione geografico (“Nun è cinese!”) e conseguente, e disarmante, replica dell’osservatore calcistico di livello internazionale, che chiude il certame dialettico con un: “Vabbè, giapponese, ma pure quelli, tolto Nakata, nun so’ mai stati boni”.

Nell’intervallo, ai piedi della Tribuna, tra birra e panini, ci si divide tra chi ritiene che questa sia la tattica giusta (“Stamo a anna’ bene così: er go je lo potemo fa’”), e chi, viceversa, ritiene che la velocità del Napoli ci porterà guai (“Vanno a mille, e pure cor pallone. Se mettono Raspadori, che se move pe l’area, diventa ’n problema”). Ma la fiducia in Smalling e Rui Patricio dà serenità (“Nun sbajano, so’ ’na garanzia. L’importante è nun daje spazi”).

Il secondo tempo inizia come il primo. Il Napoli dimostra perché sia primo in classifica e noi perché siamo forti in difesa. Il centrocampo, con Camara (“Deve gioca’ sempre, è l’unico che accellera cor cambio de passo”) e Cristante (“È sempre bravo, che je voi di’”), è in sofferenza (“Perché c’avemo i quinti troppo schiacciati a difenne”) ma prova a chiudere, con fatica, ogni verticalizzazione avversaria. Arrivano, però, insieme all’unica azione in cui avremmo potuto segnare (“Con questi, se c’hai n’occasione, nun ta la poi magna’”), i campanelli d’allarme dei gol mangiati da Osimhen (“C’ha graziato”) e da Juan Jesus (“Ecco er motivo perché se lo semo vennuto”). Entra Politano (“È ’n giocatore vero. Magari torna a casa”), che imbuca per Osimhen. Il resto è, purtroppo, storia. E si deve guardare la realtà (“Ha fatto ’n gran go”; “Nun semo scarsi, ma semo questi”; “A gennaio, co’ Dybala e Wijnaldum, è n’antro campionato”). E si prova a guardare subito oltre (“Pensamo a giovedì”). Ma la delusione non è poca. E, per giovedì, ancora c’è tempo. Prima bisogna scrollarsi di dosso il peso di questa sconfitta. Che va capita, digerita e superata. E, quindi, quale modo migliore di chiudere la serata, uscendo dallo Stadio, con la fatidica domanda: “E n’do annamo a magnà, adesso?”.

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