AS Roma

Il gol dimenticato

Non si segna perché si pensa a non perdere piuttosto che a vincere. Eppure contro il Napoli capolista, c’erano tutte le condizioni per essere più sfacciati

Abraham durante Roma-Napoli

Abraham durante Roma-Napoli (GETTY IMAGES)

PUBBLICATO DA Piero Torri
24 Ottobre 2022 - 10:30

Più che il gol, manca il coraggio di cercarlo. E se non si segna, le partite non si vincono, fin troppo banale sottolinearlo. E questa Roma fa una fatica maledetta a buttarla dentro. Errori clamorosi sotto porta, pali e traverse colpiti, prodezze dei portieri avversari possono essere sì un’attenuante, ma non spiegano fino in fondo il fatto che in undici partite di campionato, i giallorossi hanno realizzato appena tredici reti, poco più di una segnatura ogni novanta minuti. Così puoi vincere una, due, tre volte, ma prima o poi paghi dazio.

Se poi, come è accaduto contro il Napoli da quarantadue reti (prima della sfida di ieri sera all’Olimpico) in quattordici partite ufficiali alla media cioè di tre gol a gara, non si fa neppure un tiro nello specchio della porta, allora il problema diventa fin troppo facile da spiegare. E’ vero, ieri sera Dybala era in tribuna a riprendere la Curva Sud (lo capiamo). E’ vero, Abraham continua in questa inaspettata involuzione che lo sta portando lontano dalla porta avversaria e pure contro il Napoli non ha tirato una volta in porta (nel primo tempo quel destro a centro area era un passaggio per Zaniolo). E’ vero, Nicolò continua a leggere zero nella casella delle reti realizzate. E’ vero, Belotti quando gioca fa più a sportellate che cercare la porta avversaria. E’ vero, El Shaarawy quando entra fa più il terzino che l’attaccante. E’ vero, Shomurodov è Shomurodov. E’ vero tutto quello che vi pare, ma al di là di qualsiasi considerazione che pure può essere legittima, noi crediamo che per fare gol, bisogna avere il coraggio di cercarlo. Magari rischiando una giocata difficile, cercando di saltare l’avversario piuttosto che marcarlo, evitando di giocare troppo spesso all’indietro anche in situazioni in cui si potrebbe osare la verticalizzazione, puntando sulla sfacciataggine piuttosto che sulla timidezza.

Ecco, tutto questo è mancato contro il Napoli e, più di una volta, anche in alcune partite del recente passato. Un esempio: se Pellegrini, cioè il giocatore che può garantire la qualità (in attesa di Dybala e Wijnaldum) nella fase offensiva, come primo compito ha quello di non far giocare Lobotka piuttosto che costringere lo svlovacco a impegnarsi nella fase difensiva, è evidente che c’è qualcosa che non va. Un secondo esempio: se Rui Patricio in novanta minuti tocca più palloni con i piedi dello stesso Pellegrini, quel qualcosa che non va diventa chiaro anche a chi non vuole vedere. Terzo esempio: se la manovra offensiva nel novanta per cento dei casi è lasciata al lancio lungo dei difensori, pensare di andare a fare gol è affidato alla possibilità di conquistare i secondi palloni (cosa che contro il Napoli non è mai avvenuta) o, in alternativa, all’errore di un difensore avversario. Quarto esempio: se negli occhi rimane più Camara di Abraham, il problema non lo vede chi non vuole vederlo.

Ecco perché parliamo di coraggio. Per dire: perché Spinazzola quando ha provato ad andare a pressare alto Di Lorenzo lo ha fatto sempre lasciandogli dieci metri di campo che diventavano cinquanta visto che il capitano del Napoli aveva sempre almeno un paio di opzioni perché non tutti gli altri giallorossi andavano a pressare? Perché, pure rischiando, non si è provato mai o quasi a giocare il pallone a terra e, soprattutto, con una velocità maggiore in modo da guadagnare un tempo di gioco? Perché al compagno si dà il pallone sempre dietro piuttosto che sulla corsa cosa che potrebbe essere propedeutica alla possibilità di andare via verso la porta o verso il fondo del campo per crossare?

La risposta è una solo: manca il coraggio. Eppure la sfida contro un Napoli che è rimasto se stesso e ha vinto la partita, poteva essere l’ideale per trovarlo da qualche parte quel coraggio: il primo posto lontano quattro punti, la possibilità di avvicinare sensibilmente la vetta della classifica, l’opportunità di mantenere il vantaggio su Lazio, Juve e Inter che stanno tornando, la chance di recuperare punti a Udinese e Atalanta battute entrambe in casa. Era il Napoli che doveva sentire la pressione del primo posto e l’obbligo di allungare di nuovo sul Milan che lo aveva raggiunto vincendo l’anticipo contro gli amici del Monza. Era il Napoli che doveva confermare gli effetti speciali che aveva fatto vedere in tutte le partite precedenti. Era il Napoli che doveva vincere. Insomma c’erano tutte le condizioni per poter andare in campo con la serenità per tirarlo fuori quel coraggio che serve per vincere le partite.

Invece, niente. Certo non era la migliore versione della Roma, le assenze non erano poche, da Dybala a Wijnaldum, da Celik all’infortunato dell’ultima ora Zalewski, le alternative in panchina non è che fossero garantite, ma questo non toglie che avremmo voluto vedere comunque una Roma più sfacciata con l’obiettivo di vincerla la partita piuttosto che non perderla. Tutto questo lo ha capito ben presto anche l’Olimpico, con la Roma che non è stata capace di accendere i suoi meravigliosi tifosi. Manzoni, descrivendo Don Abbondio, ci ha fatto sapere che il coraggio uno se non ce l’ha mica se lo può dare. Ecco, noi speriamo che la Roma da Helsinki sia in grado di smentirlo Manzoni. Altrimenti per la Champions si fa dura.

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