Ama il tuo sogno seppur ti tormenta
Orgoglio. Il brutto ko di Udine visto alla Garbatella con tre generazioni. Nel Club ragazzi, padri e nonni cantano e trepidano, ma non mollano
Come è diverso, oggi, vivere alla Garbatella. E poi a Testaccio, Tormarancia, Rione Monti, Quadraro, Monteverde, San Lorenzo, ma l’elenco sarebbe troppo lungo. Come è diverso vivere oggi a Roma e basta. Garbatella serve solo per fare un esempio, è la borgata dove probabilmente c’è il più numeroso (o uno dei più numerosi) Roma Club Indipendente. Se vai, incontri la storia di una piccola parte di quella Roma, popolata e popolosa: incontri Remo Terenzi, figlio di papà Sergio, che fondò il club nel 1971. Giri per le stradine e i Lotti di sempre, e ti sembra di respirare un profumo che da troppi anni sembrava nascosto chissà dove.
Il Roma Club, ricordato negli ultimi decenni per la fiction sui Cesaroni, oggi è tornato a vivere con rinnovati entusiasmi. “C’è un cuore che batte, nel cuore di Roma...”. Sono tornate magicamente le bandiere su balconi e finestre. Che bello, ti fermi di nascosto, dietro un tavolino di un baretto, e impari la storia, una piccola parte della romanità.
Capita, e lo fanno, a un paio di pischelli che stanno lì, è domenica pomeriggio, già in clima prepartita, ascoltano e sembrano quasi disinteressati. Fanno finta di esserlo. Quei quattro settantenni, forse anche qualche “anta” in più, seduti a quel tavolino con una biretta, si raccontano cosa manca a questa Roma. «Arvaro, ma te lo ricordi il Professor Joaquin Peirò? Illuminava er campo e lì davanti Giuliano Ta-Ta-Taccola che la buttava nel sacco. La festa per la vittoria della Coppa Italia del 1968 fu più grande di quella per la vittoria del Campionato d’Europa. Ma pure quante amarezze».
I pischelli si danno di gomito e gli “storici” di Garbatella, anzianotti ma non rimbambiti “je fanno tana”. «Giovani, uno come quello, in mezzo al campo, ci farebbe proprio comodo». Si ride, che bello! In borgata, tra giusto e ingiusto, ancora c’è la voglia di darsi il “cinque” sorridendo. Senza guardare alla differenza di generazione.
Domenica sera, Udinese-Roma, stiamo lì, pischelli, padri e nonni. Nel Club. Appuntamento preso giorni prima, ma tutto senza prenotazione. Tam-tam sui social e locandine sui muri del Club. Lontana Udine, pochi biglietti e pochi soldi. Le borgate di Roma conoscono il valore dei soldi. E poi, i “pioneri” del daje Roma daje, c’hanno pure il pensiero e i dolori dell’artrite. Loro, mezzo secolo fa, partivano in treno la notte prima della partita. Ma non con il Freccia Rossa. Dodici ore, dormendo per terra lungo i corridoi dei vagoni. «Maciniamo chilometri, superiamo gli ostacoli, con la Roma, in fondo al cuor, in fondo al cuor…».
E al canto del menestrello Antonello, ore 20.40, tutti in piedi: Roma-Roma-Roma, la sciarpata si fa tra pischelli, padri e nonni all’interno del club. Si sta stretti, uno accanto all’altro, come in Curva Sud. Il cuore batte, veloce, velocissimo, perfino “rumoroso”. Fa confusione e non capisci se è il tuo, o quello di chi ti sta accanto. C’è chi si mangia le unghie, chi è un po’ più pallido di altri. Sì, ansia. Comincia… è finita… tutto troppo strano… tutto troppo amaro.
Ma voi pensate che quelli che sono stati in quella piccola Curva Sud, aldilà del risultato, potranno cambiare la propria fede? Ama il tuo sogno seppur ti tormenta. Si va a dormire accompagnati da un canto che riempie la notte: «Oggi me sembra che, er tempo se sia fermato qui. Vedo la maestà der Colosseo. Vedo la santità der Cupolone. E so’ più vivo e so’ più bbono. No nun te lasso mai, Roma capoccia, der mondo infame…».
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