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Ai Friedkin l'Opa costerà oltre 37 milioni: le tappe verso il delisting

Il prossimo passo è lo squeeze out, ovvero l'acquisto delle azioni rimanenti, che porterà la proprietà ad avere il 100% del pacchetto azionario

Dan Friedkin alza la Conference davanti ai tifosi a Tirana (As Roma via Getty Images)

Dan Friedkin alza la Conference davanti ai tifosi a Tirana (As Roma via Getty Images)

PUBBLICATO DA Piero Torri
24 Luglio 2022 - 10:30

La Borsa non c’è più. Tempo una quarantina di giorni e i ventidue anni giallorossi a piazza Affari faranno parte soltanto dei ricordi. L’Opa, come ormai si sa, è andata a buon fine, raggiunto e superato il novantacinque per cento (95,913) necessario perché il delisting possa iniziare. I tempi saranno comunicati domani dalla società giallorossa, ma verosimilmente entro la metà di settembre l’operazione sarà completata.

C’è un ultimo step, obbligatorio, da espletare. Ovvero il cosiddetto squeeze-out, cioè l’obbligo da parte della proprietà di acquistare (sempre al prezzo di 0,45 ad azione) dagli azionisti (quattro per cento o poco più) che non hanno aderito all’Opa. Acquisto obbligato e obbligatorio perché chi cede non può rifiutarsi, deve vendere per regolamento. Il risultato sarà che i Friedkin saranno proprietari al cento per cento della Roma. Quello che volevano. Per riuscirci la famiglia texana ha messo nuovamente mano al portafoglio, per una cifra compessiva supriore ai 37 milioni di euro. Sborsati in tre fasi. La prima, denominata stake building, è andata in scena prima del 13 giugno, giorno di inizio dell’Opa, con l’acquisto sul mercato di azioni per circa otto milioni e mezzo di euro. La seconda è stata l’Opa stessa, duata sei settimane, in cui l’esborso per le adesioni è stato di 16.740.000 euro complessivi. La terza, che comincerà nei prossimi giorni, è come detto lo squeeze-out che per le circa venticinque milioni di azioni ancora da acquistare, vorrà dire un’ulteriore spesa di circa dodici milioni. Sommando, il risultato è che i Friedkin hanno speso oltre trentasette milioni che, sommati ai centonovantanove per l’acquisto da Pallotta, ai trecentosettanta come finanziamento soci irrorati nelle casse della società negli ultimi due anni, fanno un totale di investimento superiore ai seicento milioni di euro.

Una cifra, ricordando i primi approcci con Pallotta per l’acquisto della Roma, ancora inferiore agli oltre settecento milioni con i quali era stato trovato il primo accordo con l’ex proprietario, accordo che fu stoppato in extremis prima che sul mondo arrivasse quel maledetto ciclone che è stato (ed è) il Covid. I Friedkin, insomma, stanno proseguendo nel loro progetto che, appunto, tra i punti principali prevedeva sin dall’inizio l’uscita dalla Borsa, rilevando il cento per cento del pacchetto azionario (qualsiasi altra soluzione avrebbe voluto dire trasformazione in società ad azionariato diffuso che avrebbe comportato comunque una serie di paletti burocratici). Per due motivi principali: liberarsi di tutta la burocrazia che comporta essere in Borsa. E probabilmente, per dare uno spazio più garantito all’eventuale ingresso di soci di minoranza. Ipotesi che sta in piedi sin dall’arrivo della famiglia Friedkin. Ipotesi che rimane complessa, ma adesso sicuramente più percorribile.

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