L'epica in cronaca: la finale di Conference raccontata da Manfridi
Stasera alle 21.30 al Teatro Marconi l’atto ottavo di Diecipartite. "Scritto in poche ore" dopo la vittoria di Tirana. Con Mou protagonista per il canto di un trionfo
Stasera alle ore 21,30 al teatro Marconi di Roma andrà in scena per la prima volta La finale: Roma-Feyenoord 1-0, scritto ed interpretato da Giuseppe Manfridi, con la regia di Claudio Boccaccini. È l’atto ottavo del progetto Diecipartite. Pubblichiamo qui la prefazione di Daniele Lo Monaco al testo dell’opera, edito da La Mongolfiera.
Tra i 1.000 motivi per cui al fischio finale dell’inappuntabile arbitro rumeno Kovacs la sera del 25 maggio a Tirana mi sono lasciato andare ad un’esultanza davvero sfrenata, soprattutto in rapporto a ciò che in tema di continenza sentimentale ho sempre professato nella mia vita, ce n’erano circa 800 che avevano a che fare con la sfera del mio rapporto personale e affettivo con la Roma e 200 legati invece all’aspetto professionale, per il ruolo che svolgo per il Romanista, ovviamente per tutto ciò che quella vittoria ci consentiva di realizzare con il giornale. Eppure nonostante tutto, quello che forse avrà maggiori effetti nel tempo e che a distanza di tanti giorni continua a pungolarmi quasi ad ogni risveglio quotidiano, era legato a ciò che con Giuseppe Manfridi ci eravamo detti nel riparo della lunghissima vigilia che ha accompagnato ogni romanista fino all’inevitabile sentenza dell’arena Kombëtare: "Neanche a dircelo, Giuseppe. Il 25 maggio potrebbe essere la naturale ambientazione della nostra ottava partita". Neanche a dircelo, non serviva. Sapevamo entrambi che questo progetto nato da una chiacchierata tra romanisti appassionati, una dozzina di anni fa, era rimasto monco e non per mancanza di ispirazione né di partite, contesti, stagioni, eroi da raccontare degni di emergere dalla lunga e gloriosa storia della AS Roma. Semplicemente qualcosa doveva ancora decantare. All’incredibile serie di opere teatrali, scritte alcune in rapida successione, altre più ponderate, a dipanarsi lungo sette atti tutti rappresentati a teatro e tutti i capaci di riscuotere un confortante successo di pubblico e di critica, mancava l’elemento dell’epica sull’onda della cronaca. Ecco perché quando è arrivato Mourinho ci siamo più volte concessi dei sospiri, magari a distanza, nei nostri periodici scambi di chiacchierate sulla vita e sulla Roma. Chi, se non lui, aveva il physique du rôle del magnifico protagonista di una nuova opera teatrale? Sì, in questi anni ci sono stati altri momenti in cui ci siamo trovati tanto vicini dal rendere ineluttabile il ricorso alla sua scrittura; sì, abbiamo vissuto parentesi estasianti soprattutto in Europa; sì, abbiamo attraversato stagioni da quasi protagonisti e ci siamo esaltati dietro allenatori e giocatori e persino dirigenti in grado di infiammare la nostra fantasia e, dunque, la straordinaria vena letteraria di Giuseppe. Ma mancava sempre qualcosa alla perfetta congiunzione astrale. Poi a un certo punto quest’anno è apparso chiaro che ogni episodio nella cavalcata di Conference League sembrava giustificarsi solo se inquadrato in un più ampio contesto, come a disegnare le svolte tipiche su cui si fonda il pathos di una qualsiasi pièce.
Ciò che ancora mi stupisce è la capacità di Giuseppe di abbassare la testa sulla tastiera del computer e rialzarla, praticamente poche ore dopo, solo dopo aver scritto l’ultima parola del testo, il preludio agli applausi scroscianti di una platea adorante. Dai titoli iniziali ai titoli di coda in 100 secondi, come fosse lo spot dell’ultimo modello più veloce di una casa automobilistica, e invece è solo quello che accade dal momento in cui l’ispirazione accende la luce nella stanzetta del cervello di Giuseppe delegata alla scrittura al momento in cui mi arriverà in un messaggio: "L’ho finita". E dopo aver rapidamente scartato l’elenco delle cose che possono finire da un momento all’altro che un amico ti può scrivere - la benzina, la birra, la pazienza, la carta nel cassetto del computer, la cartuccia dell’inchiostro che darà forma indelebile ai suoi pensieri - mi rendo conto che invece non può che essere quello: ancora una volta ha scritto un’opera teatrale in poche ore. Ed è successo anche questa volta. Leggete questa delizia e venite ad ascoltarla a teatro appena potrete. Lasciatevi cullare da questa leggerezza tifosa, da parole che non esauriscono mai i loro effetti con la semplice declamazione delle sillabe che le compongono, ma che pungolano in continuazione ogni aspetto della nostra anima tifosa. Insomma, se c’era un cantore degno della Roma di Mourinho non poteva che essere Giuseppe. Erano due fiumi destinati ad incontrarsi, "come realtà distinte che diventano una sola entità". Si apra il sipario.
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