La favola di Spadoni: il mancino spezzato
Da Lugo con amore, divenne lupo. Il suo Special One fu Helenio Herrera. Fino a quel Roma-Inter del gennaio ’76
Quel piede, sinistro, una volta poteva essere piuma, una volta ferro. O sciabola. Anzi Sciabbolone. Diversa, certo, quella "bacchetta magica" da quella di Mariolino Corso. Meno fatata, forse, ma "quei due" avevano lo stesso estro e fantasia. Ma diteci? Il Fenomeno in questione avrà un nome?
Chi avesse superato gli "anta" almeno due o tre volte ve lo svelerebbe così: "la-la-la-la-la-la-la- Vale-erio… Spado-oni". Sì, Valerio Spadoni. Arriva a Roma, proprio quando si comincia a sentire il "vagito" degli Anni Settanta. E i romanisti nelle osterie, tra un tresette, una gassosa e 'na fojetta stavano come noi oggi. Mezzo secolo prima della Conference League. Lo Special era H.H., certo, Helenio Herrera e sul parabrezza delle "nostrane Fiat", 500 o 600, 124 o 600 multipla, l'adesivo era solo uno: "Forza Roma, Forza Lupi, so' finiti i tempi cupi".
Spadoni, sì anche un po' Mariolino. Calzettoni abbassati fino alle caviglie. L'interista ti bruciava in ogni angolo del campo, Valerio (figlio di Domenico, che giocò in serie A nei primi Anni Quaranta con il Modena) era padrone della fascia sinistra. Un cobra. Mancino, accelerava, con il difensore quasi disperato sulle sue tracce. Stop, palla ferma. Con il destro improvviso scatto al veleno, fino sul fondo. E anche se ormai quel dai e vai, destro-sinistro, quella finta era diventata famosa, nessuno, o forse pochi, riuscivano nella rimonta. Sinistro "tagliato" al centro dell'area di rigore avversaria. Oggi li chiamano "assist". Arriva con Il Mago (che nel 1969 aveva già regalato una Coppa Italia ai giallorossi) nell'estate del 1972, e anche grazie ai suoi tre gol, la Roma vince il Trofeo Anglo Italiano. Basta così? No. Comincia il campionato, la Roma vola in testa alla classifica, il Mago pontifica: "Cosa sarebbe il calcio senza di me?".
Per Valerio seguono quattro anni, alti e bassi, e dopo un Mago, arriva un Santone: Nils Liedholm. Ma arriva (era il 1976) anche l'Inter, all'Olimpico. Sciabbolone, calzettoni abbassati sulle caviglie, spaventa i nerazzurri. La Roma, è padrona del praticello verde sotto la Curva Sud. Arriva un palla a mezz'altezza a pochi metri dalla porta dell'Inter. Sciabola prepara il corpo, incurva le spalle, e come un cobra fa scattare il sinistro. Quel piede non arriverà mai sul pallone. Graziano Bini, libero (ancora esisteva) a strisce nerazzurre, alza il suo destro, a gamba tesa. Il crac riempie i muri dell'Olimpico come quelli dell'intero Foro Italico. L'urlo di Valerio Spadoni è già quello di un "ex" calciatore. Ginocchio che finisce fuori dall'articolazione e lesione del nervo sciatico. Bini, le mani tra i capelli e un pianto dirotto.
Appuntamento all'Ospedale Gemelli, operato nella speranza che possa tornare. No, non c'era un pezzo sano in quel ginocchio. Fuori, nel piazzale, ragazzine invaghite del "Passator cortese del gol" con i baffi alla Charles Bronson, ma senza l'aria del giustiziere. Il suo coro: "Vale-erio… Spado-oni".
Già, perché il sorriso era il suo compagno di giornata e di vita. Al Tre fontane mai con il volto teso. Dentro, il fanciullino non se n'era mai andato. E, allora, tornò a Lugo. Per sorridere. Come? Aprendo un negozio di fumetti, gestito fino a dieci anni fa. Quando "Big Ben ha detto stop", le leggende metropolitane raccontano che regalò fumetti a decine di ragazzi. Vero o falso? Non ha importanza. Le fiabe sono belle. È bello raccontarle e scriverle. Ti aiutano a respirare meglio. Con più leggerezza.
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