Cori e cuori: un day after al (circo) massimo
L’abbraccio tra tifosi e squadra per le vie della Capitale. Sfidiamo il caldo e la calca, immersi in un vero mare di gioia
È stato il giorno in cui ci siamo ricordati (o accorti per la prima volta, nel caso dei più giovani) che "la gioia fa parecchio rumore". Un rumore celestiale, degno della più dolce delle sinfonie. Dal 26 maggio è passato un mese esatto, ma nei nostri occhi ancora brilla la luce di quel pomeriggio rovente e innamorato, in cui sudore e lacrime di gioia si sono mischiati per celebrare un trionfo atteso troppo a lungo. Una maratona del cuore iniziata già nella notte precedente, quando al Circo Massimo era convogliata la festa, andata avanti fino all'alba; molti avevano deciso di proseguirla a Trigoria, per accogliere la squadra di ritorno da Tirana con la coppa. Qualche ora di sonno mattutino, per chi poteva permetterselo; altri direttamente al lavoro, sfatti ma incapaci di sentire la stanchezza, perché l'adrenalina era ancora in circolo.
Appuntamento al Circo Massimo nel pomeriggio, con i pullman scoperti che trasportavano la squadra, lo staff tecnico e la società, oltre ovviamente al trofeo simbolo che aveva dato forma e sostanza ai nostri sogni. In realtà, la fiumana giallorossa si estendeva ben oltre il perimetro del Circo Massimo: esondava verso via Labicana, viale Cristoforo Colombo, le Mura Aureliane e ovviamente in Piazza del Colosseo proprio come un autentico corso d'acqua capace di rompere gli argini. Straripavamo, compressi come sardine nel caldo decisamente fuori stagione che quel giorno aveva deciso di infuocare ulteriormente la Città Eterna. C'era chi seguiva i pullman che a rilento muovevano dalle Mura Aureliane verso le Terme di Caracalla, chi invece li aspettava tra la folla, o arrampicato su un semaforo. C'era un tizio che, sotto il sole delle 16, prorompeva in un sacrosanto: "Ahò, ma questi quanno ariveno? Me se stanno a concalla' 'e meningi!", ma che ovviamente sarebbe rimasto lì anche altri tre giorni, pur di vedere Pellegrini, Mancini e Zaniolo sollevare la coppa e intonare i cori della Curva Sud come ultras di vecchia data. Quel tipo, nonostante tutto, le meningi le avrebbe fatte sciogliere, pur di vedere Mourinho battersi il petto e benedire (idealmente, ma neanche troppo) la folla in estasi.
Video e foto a raffica, gli smartphone bollenti a causa dell'iperattività a cui sono chiamati, per garantire ai loro proprietari ricordi di una giornata storica. Perché è vero, certe cose restano nella mente e nel cuore più che nei database, ma come fai a non immortalare a raffica la gente, i cori, i colori, i paesaggi di una Roma finalmente vestita di nuovo a festa?
C'era chi vedeva la propria maglia della Roma segnata dalle fiamme dei fumogeni, e se la riportava a casa piena di cicatrici, come i gladiatori dopo la battaglia: quelle lievi bruciature sul tessuto acrilico della divisa sono medaglie che potrà mostrare ai suoi figli, o semplicemente ai parenti e agli amici più giovani. E potrà dir loro con un sorriso beato: "Questi sono i segni di un'impresa storica, lasciate che ve la racconti...". "Che caciara!", recitava uno striscione consegnato alla squadra dai tifosi, ed esposto a più riprese da Bove. Eh, già. Una caciara tale da impedire di fatto ai pullman di raggiungere il Circo Massimo, prendendo via Labicana, per poi tornare sulla Colombo e da lì di nuovo verso Trigoria. Prima, però, la sosta e l'abbraccio tra squadra e tifosi. Davanti al Colosseo, ovviamente. Con il sole che tramontava alle spalle del monumento più famoso al mondo, i canti e le bandiere scandivano i battiti impazziti di centinaia di migliaia di cuori, che come tamburi riempivano il cielo di Roma.
C'era chi aveva dormito sì e no un paio d'ore e chi, invece, la testa sul cuscino non l'aveva neanche poggiata; c'era chi, appena rientrato da Tirana, s'era fiondato in centro, e c'era chi invece veniva da un'altra città. Ogni differenza d'età, ceto, reddito, religione, orientamento sessuale e istruzione azzerata: eravamo una cosa sola, fatta però di moltitudini. C'erano i padri con i figli e i figli che avrebbero tanto voluto essere lì con i propri padri, uomini, donne, ragazze, ragazzi, ultra-sessantenni e bambini: uniti, vicini, abbracciati idealmente e non solo. Stringevamo l'amico, il partner, il parente o anche un semplice sconosciuto, mentre Abraham e gli altri sollevavano a turno la Conference League. C'era chi desiderava che quel momento durasse per sempre. Beh, per certi versi è stato accontentato: perché - pur essendo già proiettati verso le sfide future - nessuna distanza temporale potrà mai farci dimenticare quella giornata.
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