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La Top Ten di Mou: frasi, gesti, psicologia e campo. Dall’indice sulla Lupa al “cinque” nel cielo di Tirana. Il tecnico ci ha regalato una stagione memorabile

PUBBLICATO DA Lorenzo Latini
14 Giugno 2022 - 12:33

Il 2 luglio 2001, mentre la Roma era Campione d'Italia, dall'altra parte del mondo - negli USA per la precisione - veniva impiantato per la prima volta un cuore interamente artificiale all'interno di un essere umano. Esattamente venti anni più tardi, il 2 luglio 2021, la Roma che era reduce da una serie di stagioni a dir poco deludenti e apatiche, (ri)trovava il suo cuore. A indicarglielo, un signore di 58 anni nato a Setubal: a Trigoria, nel giorno del suo sbarco nella Capitale, José Mourinho puntava l'indice sullo stemma con la Lupa che allatta Romolo e Remo, rivolgendosi ai tanrti tifosi accorsi ad accoglierlo. È la prima delle tanti immagini che lo "Special One" ci ha regalato alla sua prima stagione romanista. A ben pensarci, il primo trofeo che José portava con sé era quello: la ritrovata unità, l'empatia totale tra squadra, proprietà e tifosi di cui spesso lui stesso parlerà in seguito.

Mourinho e Tiago Pinto a Trigoria (Getty Images)

Rissa e sorriso

Di amichevole c'è ben poco, nella sfida estiva con il Porto che si disputa il 28 luglio: la Roma gioca bene, con personalità, ma viene raggiunta sull'1-1 nel finale. L'istantanea più nitida di quel giorno, però, è la rissa che si scatena ad un certo punto in campo, e che richiede dell'intervento di entrambe le panchine per essere sedata. Mourinho viene immortalato mentre, senza scomodarsi, sorride soddisfatto, come farebbe un papà di fronte a una prodezza del figlio. L'indomani, sul suo profilo Instagram, scrive: «Habemus squadra». Roma non è stata costruita in un giorno, ma la prima pietra viene posata proprio in quell'occasione.

La rissa dei giocatori della Roma con quelli del Porto, osservata da Mourinho sorridente (Getty Images)

Born to run

Prima finge disinteresse, poi corre come un indemoniato sotto la Curva Sud: nel giorno della sua millesima panchina da capo allenatore, José si tiene dentro l'emozione fino al 91', quando El Shaarawy ci regala la vittoria contro il Sassuolo in una partita che abbiamo anche rischiato di perdere. José parte, pugno al cielo, per festeggiare con i suoi giocatori un gol importantissimo in una giornata che - per lui - ha un sapore speciale. Come direbbe il Boss: «siamo nati per correre».

L'esplosione di gioia di Mourinho per il col di El Shaarawy contro il Sassuolo @Mancini

Lezione e sfogo

Il 21 ottobre a Bodø arriva una batosta inattesa: lo Special One indica se stesso come unico responsabile dell'1-6. Ma precisa: «La loro squadra è evidentemente più forte di quella che ho schierato io oggi. Sapevo che questa rosa ha dei limiti, ma da alcuni giocatori mi aspettavo risposte migliori. Forse la cosa positiva è che ora smetterete di chiedermi come mai giocano sempre gli stessi». È un monito alla rosa, ma anche alla dirigenza in vista del mercato di gennaio: alcuni, come El Shaarawy e Kumbulla, risponderanno sul campo raddoppiando l'impegno; altri - Reynolds, Calafiori, Villar e Mayoral - faranno le valigie a inizio 2022. È la gara che fa da spartiacque nella stagione, e le parole di Mou gettano le basi per il trionfo che arriverà sette mesi più tardi a Tirana. Col senno di poi, il suo sfogo si rivelerà come una sorta di Master in psicologia ed economia aziendale.

La rabbia di Mourinho dopo la sconfitta nel girone con il Bodø/Glimt (Getty Images)

Comandi a distanza

Ancora tramortiti dal ko in Norvegia, affrontiamo il Napoli che viene da 8 vittorie in altrettante gare di campionato: dominiamo, ma la partita finisce 0-0. José viene espulso, ma nel finale qualche telefonino sugli spalti lo immortala mentre dà indicazioni alla squadra a distanza, arrampicato su una delle vetrate divisorie a ridosso del tunnel che porta negli spogliatoi. Quel gesto, apparentemente insignificante, ha una doppia valenza: da un lato, il tecnico vuole evitare cali di concentrazione da parte dei suoi proprio nei minuti conclusivi; dall'altro - proprio in virtù della pesante sconfitta di tre giorni prima - è un modo per far sentire ai giocatori la sua vicinanza. «Non siete soli, sono qui con voi», sembra dire lo "Special One".

Mourinho arrampicato sui vetri dell'Olimpico per impartire ordini contro il Napoli

Libero arbitrio

Dal gesto del telefono a Pairetto in Roma-Verona al «degli arbitri non parlo, altrimenti vengo squalificato» dopo Roma-Milan, Mourinho non ha mai abbassato la testa di fronte ai tanti torti subiti nel corso dell'ultimo campionato. Così, dopo il derby d'andata non ha avuto paura di dire ciò che pensava («Arbitro e Var non sono stati all'altezza: hanno condizionato la partita») e tanto meno ha avuto paura di ribadirlo: Juventus, Venezia, Bologna, Milan (due volte), Genoa sono solo alcune delle avversarie contro cui la Roma si è vista defraudata. Del resto, le "storie tese" tra José e i direttori di gara (compreso Rocchi, attuale designatore) risalgono ai tempi della sua prima esperienza italiana, ma quest'anno gli episodi sono stati talmente tanti e talmente surreali da spingere anche i più candidi a pensar male.

Mourinho espulso in Roma-Verona da Pairetto (Getty Images)

La squadra

Fin dal primo giorno, ha instaurato un rapporto speciale con i giocatori, soprattutto con quelli che - per età anagrafica, per militanza nella Roma o per tasso tecnico - gli avrebbero garantito il salto in avanti nella mentalità e nella qualità. Li ha difesi dalle critiche (un esempio su tutti: Cristante), li ha elogiati («Se avessi tre Pellegrini, li schiererei tutti e tre») e li ha spronati. In cambio, ha avuto da loro rispetto, fedeltà e il cambio di passo che serviva per portare a casa un trofeo. Ma il caso più eclatante riguarda il giovane Zalewski, su cui Mou ha scommesso (vincendo) e del quale di fatto non si è più privato.

L'esultanza dei giocatori che interrompono la conferenza successiva alla vittoria della Conference (Getty Images)

Proprietà e dirigenza

La sinergia totale con i Friedkin e con Tiago Pinto (di recente definito «un grande direttore, un socio e un amico») José l'ha manifestata fin dal primo giorno. E non si trattava di dichiarazioni di facciata: i ringraziamenti per le operazioni di mercato e per la costante presenza al fianco della squadra, arrivando da un fuoriclasse come lui, non possono passare inosservati, e sono testimonianza di come non solo la squadra, ma anche e soprattutto i suoi vertici stiano facendo bene.

Mourinho indica la lupa il giorno della sua presentazione (Getty Images)

Le lacrime

Il 5 maggio, la Roma batte 1-0 il Leicester tornando in finale di una coppa europea dopo 31 anni: nei minuti conclusivi, Mou a bordocampo è un autentico vulcano: sprona i suoi, entra persino in campo per caricare Veretout dopo un fallo conquistato dal francese. E al fischio finale lui, lo "Special One", l'uomo da 25 titoli in carriera, si commuove: ha la voce rotta anche nel post-partita, quando dice di aver versato «una lacrima per ogni romanista». Poi torna sul terreno di gioco, perché la Curva Sud è ancora piena: lui la incita come un autentico capo-popolo, come il «capobranco» (Mancini dixit) che vuole riportare i lupi alla vittoria. Un anno e un giorno dopo il suo annuncio, José Mourinho completa definitivamente il suo apprendistato, diventando romanista a tutti gli effetti.

Le lacrime e il pugno al cielo di Mou dopo la vittoria col Leicester (Getty Images)

Trionfo e prossimi obiettivi

La mano aperta nel cielo di Tirana, a indicare che con il trionfo in Conference sono cinque le coppe europee che ha conquistato in carriera: José si commuove di nuovo, per se stesso e per aver riportato la Roma a vincere in ambito continentale a 61 dalla prima e unica volta. Durante la parata per le vie del centro il giorno dopo, lo il portoghese osserva ammirato la fiumana di gente innamorata: saluta, si batte il pugno sul cuore, e indica in alto, il cielo. Perché, da vincente nato qual è, sa che la vittoria più bella è sempre la prossima. Mou pensa già al futuro, e lo scrive a chiare lettere sul suo profilo Instagram 48 ore dopo il trionfo sul Feyenoord: «Penso a ciò che verrà dopo. Ma più che una coppa, mi piacerebbe vedere sempre questa passione. Il calcio non si gioca in 11, ma in tanti. E noi eravamo tantissimi». Con un tifoso in più: un tifoso "Special", capace di riunire dopo tanto tempo una piazza che troppo a lungo era stata divisa. Finora, la sua vittoria più grande è stata proprio questa. Grazie, José.

Mourinho mentre partecipa alla festa romanista per la vittoria della Conference League (Getty Images)

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