Nessuna italiana come la Roma: Mou alle prese col generale stanchezza
Ora siamo a 53 partite ufficiali, con Torino e Feyenoord si arriverà a 55. Sono 13 i giocatori che hanno giocato oltre 2.000’. Troppo poche le alternative
53. Con Torino e Feyenoord diventeranno 55. Nessuna squadra italiana ha giocato tante partite come la Roma. Saranno trentotto in campionato, due in coppa Italia, quindici in Europa in una Conference League giocata dal preliminare alla finale di Tirana. All'inizio della stagione, avremmo firmato perché si arrivasse a tanto, visto che avrebbe voluto dire tornare a giocarsi un trofeo che da queste parti non si festeggia da quattordici anni.
E' stato così, ne siamo felici, ma ora bisogna fare i conti con le conseguenze. Napoleone nella campagna di Russia fu costretto a fare i conti con il generale inverno, Mou, se ci concedete il paragone, con il generale stanchezza. Perché un impegno così prolungato ha voluto dire spremere, finché crampi non ci separino, la Roma titolare. Che, e questo è un punto su cui si dovrà riflettere e lavorare in sede di mercato, non è stata certamente di quelle extralarge. Dl resto Mou, da qualche settimana a questa parte, ce lo sta dicendo piuttosto spesso, «non abbiamo ancora una rosa che ci possa consentire di giocare in due (tre volendo) competizioni con la stessa qualità se si è costretti a fare dei cambi».
Questo concetto il tecnico portoghese ce lo ha ripetuto quasi sempre in simbiosi con l'altro su cui ha sempre battuto in questa stagione con una ripetitività che soltanto chi non vuol capire fa fatica a comprendere. Ovvero la questione arbitrale: «Gli arbitri che hanno diretto le nostre partite spesso dopo sono stati sospesi, ma a noi i puniti chi ce li restituisce?». Già, i punti. Quelli che se ci fossero oggi in classifica, garantirebbero già la qualificazione europea per il prossimo anno e, quindi, per esempio, una preparazione della partita contro il Torino di venerdì prossimo, decisamente migliore perché in totale funzione dell'appuntamento di Tirana. Purtroppo non potrà essere così, contro i granata si dovrà comunque fare sul serio e questo vuole dire anche aumentare il rischio di un infortunio che, a cinque giorni dal Feyenoord, potrebbe essere devastante.
Non facciamo questo discorso per concedere un alibi a prescindere alla Roma e a Mourinho. Se non altro perché conquistate 3 punti sui 18 possibili contro Venezia (roba da pazzi anche se c'è stato lo scempio arbitrale di Aureliano in Laguna), Verona e Bologna è un altro elemento che ha contribuito in maniera sostanziale alla situazione con cui ora la Roma è costretta a fare i conti. Sarebbe stato sufficiente farne il doppio (cioè un terzo di quelli possibili) perché oggi la situazione fosse decisamente migliore e più gestibile.
Resta il fatto, comunque, che come ci ha detto Mourinho in più di un'occasione, la rosa di questa stagione si è dimostrata corta in qualità e, quindi, di conseguenza, in quantità. L'esempio più chiaro di quello che vogliamo dire, è rappresentato da Tammy Abraham. Il centravanti inglese, per dire, delle 53 partite giocate fin qui in questa stagione, ha risposto presente in cinquantuno occasioni e di queste in quarantasette è stato titolare, sommando in tutto 4.078 minuti in campo. Un tour de force con pochissimi precedenti, conseguenza anche delle risposte dell'ipotetica alternativa Shomurodov (trentotto presenze ma solo sette da titolare per 1.182 minuti complessivi). Basta usare la logica per capire come, a questo finale di stagione, Abraham sia arrivato in riserva pur non facendo mai mancare la sua generosità di mettersi a disposizione della squadra. Fa sorridere, per non dire di peggio, sentire oggi qualcuno puntare il dito nei confronti di Tammy perché in questo finale di stagione sta segnando meno di quanto fatto in una prima parte in cui è stato un assoluto protagonista (venticinque i gol totali che poi sarebbero ventisei considerando quello che gli hanno annullato a Torino contro la Juventus, un'altra di quelle partite in cui i giallorossi hanno pagato pedaggio alla direzione arbitrale).
Insieme all'inglese ci sono altri due giocatori che hanno giocato oltre 4mila minuti: naturalmente Rui Patricio (52 su 53 per 4.680 minuti) e Roger Ibanez (4.076). Poi ce ne sono altri quattro oltre i tremila: Mancini (3.852 e meno male, si fa per dire, che ha dovuto scontare svariati turni di squalifica), Cristante (3.706), il Capitano Pellegrini (3.055 nonostante in più di un'occasione sia stato fermato da problemi fisici), Mkhitaryan (3.342). Infine altri sei che hanno scavallato i duemila: Karsdorp (2.858), Smalling (2.812), Viña (2.095), Veretout (2.983), Sergio Oliveira (2.205 nonostante sia arrivato a gennaio), Zaniolo (2.803). In tutti sono tredici i giocatori che hanno giocato per oltre duemila minuti, in sostanza quelli che hanno costituito l'ossatura della formazione titolare (dodici considerando che Oliveira è arrivato nel mercato di gennaio). Non ci vuole un'intelligenza superiore alla media, per capire che sono troppo pochi per affrontare una stagione da 55 partite ufficiali. Ora toccherà a Mourinho, chi meglio di lui, gestire questo finale di stagione per battere il generale stanchezza.
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