Parola di José
A noi hanno tolto il diritto di vincere, José Mourinho ci sta insegnando il dovere di lottare per farlo
A me capitava sempre con Daniele De Rossi. Quando parlava sapevo che avrei ascoltato le mie parole e il mio pensiero: quello di un romanista. Ieri ho avuto la stessa sensazione di giustizia e liberazione, lo stesso esclamativo (!) e lo stesso pugno sbattuto sul tavolo quando Mourinho ha detto in faccia ai maligni e ai superbi che alla Roma hanno negato il diritto di vincere. Come Marinetti per il Futurismo, ieri Mourinho ha scritto un Manifesto Romanista. Boom.
José Mourinho non è romanista, lo sappiamo, è portoghese, ha vinto tutto con l'Inter e il Porto, ha allenato i mostri del Real, dello United, ha dato una storia al Chelsea, quindi risparmiatemi il "ma che credi sia romanista?" perché non credo proprio a niente e dico solo che difficilmente mi sono sentito più rappresentato da qualcuno come ieri dopo la partita. Io mi sento rappresentato da José Mourinho da Setubal, traversa di Testaccio, che non sarà romanista ma dice cose da romanista, in una storia morettiana come la nostra in cui per troppo tempo chiedevamo solo di ascoltare qualcosa che ci scaldasse il cuore. Non è ruffianeria, è sete di giustizia, persino rabbia. Verità.
«Alla Roma hanno negato il diritto di vincere» è quasi un avvento, in diretta TV. Proprio a quelle TV che hanno sempre e solo ospitato gli altri e i loro sproloqui (il peggiore si è sentito dopo la Salernitana da uno che invece io credevo romanista) e che stavolta hanno dovuto solo filmare e trasmettere. Zitte. È tipo uno striscione della curva appeso nel tempo: «Ci hanno negato il diritto di vincere», uno striscione che vale non solo per tutte le volte che è successo ma per tutte le volte che nessuno ha mai detto niente per noi. È soprattutto questo: la parola ritrovata, l'urlo tirato finalmente fuori, i nomi e i cognomi fatti, le prove provate che gli "altri" ti chiedevano a mo' di derisione, insieme ai loro moralismi e le perculate per il "go' bono di Turone".
A noi hanno tolto il diritto di vincere, Mourinho ci sta insegnando il dovere di lottare per farlo. Perché - alla facciaccia di tutti - queste parole arrivano dopo 12 partite in campionato senza ko, una semifinale europea, un 3-0 bellissimo, tondissimo e pure levissimo alla Lazio, il gol al 91' al Maradona di Napoli. Avessimo vinto avrebbe detto lo stesso, anzi forse persino di più. È anche qui la differenza. Un altro modo per tutelarci. Perché così stavolta si sente meglio, perché quando perdi arrivano tutti quelli col Ferrari a dirti «eh ma tu devi essere più forte delle ingiustizie» (...cci vostri) stavolta ce l'hanno parcheggiato e guardano Mourinho ricordare i furti di Venezia, le ammonizioni da squalifica ridicole con Udinese e Bologna, il derby d'andata, il Milan all'andata e al ritorno, la Juve a Torino, tutte le volte che ci ha arbitrato Di Bello e non solo lui, e soprattutto le loro chiacchiere a coprire tutto, a "insegnarti" come si cresce e come ci si comporta. Non ne abbiamo bisogno: siamo romanisti. Era dal 2003 che la Roma non subiva uno schifo simile quando poi la storia ha dimostrato che c'era un'associazione a delinquere a perpetrartelo. È stata Pasqua, io sono laico, la vivo più sul versante uovo "caruccio" da comprare al figlio, ma stavolta non si può non avvertite il clima religioso sentendo la parola di José. Seguiamola. Perché il diritto a vincere ce lo prendiamo soltanto con il dovere di seguirlo. Amen.
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