Addio a Emiliano Mascetti, ds e gentiluomo
Dirigente alla Roma, dove lo volle Dino Viola, dal 1988 al 1996. Se n'è andato dopo una lunga malattia lasciando il ricordo di una persona per bene
Un gentiluomo. Quando qualcuno se ne va, si dicono sempre parole gentili nel suo ricordo. Non è il caso di Emiliano Mascetti. Perché Ciccio, come amabilmente era chiamato a Trigoria dai cronisti che all'epoca seguivano la Roma (e c'era anche chi scrive), proprio per il suo carattere dolce, è stato davvero una persona per bene. Onesto. Trasparente. Sincero. Competente. Timido in un mondo di squali sempre più affamati. La dote preziosa di saper ascoltare. Incapace di essere scortese o maleducato, questo è stato sempre il suo stile di vita. Anche per questo quando, ieri di prima mattina, abbiamo saputo che Ciccio era andato a portare il suo sorriso da qualche altra parte, il dispiacere è stato di quelli che ti lasciano senza parole. E non solo perché è stato un importante compagno di lavoro quando eravamo poco più che agli inizi della carriera. Il primo dirigente della Roma, insieme a Giorgio Perinetti, con cui siamo entrati in confidenza in un calcio che non ha niente a che vedere con quello dei giorni nostri, capace con il sorriso e la sua serenità di non farci mai sentire l'ansia della notizia, in grado sempre di garantire una risposta che poi non si è mai rivelata falsa.
Era arrivato alla Roma per volere del presidente Dino Viola. Che ne aveva apprezzato il grande lavoro da direttore sportivo che Ciccio aveva fatto con il Verona di Osvaldo Bagnoli, roba che intorno all'Arena stanno ancora facendo festa. L'ingegnere che non smise mai di pensare e agire per una Roma protagonista, decise di prenderlo convinto che potesse essere l'uomo giusto per rialimentare quegli ormai declinanti anni ottanta. Una telefonata, «Mascetti, sono Dino Viola, mi farebbe piacere incontrarla». Detto e fatto, nonostante il grandissimo legame che Ciccio aveva con Verona. Dove era stato protagonista prima di tutto come ottimo centrocampista, ancora oggi è il giocatore con più presenze in serie A con la maglia gialloblu. Ma il carisma dell'ingegnere non ci mise troppo a convincerlo. Firma compresa sul contratto da direttore sportivo. Nacque un sodalizio che andò anche oltre il prematuro addio all'ingegnere, con Ciccio sempre più dentro la Roma.
Erano tempi assai diversi da quelli di adesso, in pratica un'altra era. I telefonini erano ancora nella capoccia di Steve Jobs e compagni, a Trigoria c'erano le cabine con i gettoni, i rapporti che si instauravano erano tra persone non tra professionisti. Fu così anche con Ciccio. Per parlarci dovevi andare a Trigoria. E lui era sempre disponibile. In tempo di mercato le chiacchierate si facevano sempre più frequenti. Non era un generoso in fatto di notizie, ma non ti metteva mai fuori strada, non ti dava la classica storta che è poi la cosa che fa imbestialire di più un cronista. Gli potevi domandare di qualsiasi giocatore che, si diceva, potesse interessare la Roma. La sua risposta, accompagnata immancabilmente da un sorriso, più o meno era sempre la stessa, «sì, è un buon giocatore», sia che si trattasse di un campione, sia che il calciatore in questione fosse una pippa. Fu capace di entrare in confidenza con tutti noi cronisti, più o meno giovani. Un esempio: una sera un collega che suonava la tromba doveva tenere il suo primo concerto. Ciccio si presentò in platea. Applausi.
Il suo rapporto con Dino Viola fu molto solido. L'ingegnere si fidava della riservatezza di Ciccio, anche se avrebbe voluto che andasse oltre quella timidezza naturale che lo contraddistingueva. Per scherzarci ma come gesto d'affetto sincero, in qualche occasione lo chiamava Moscetti e Ciccio si faceva una bella risata. Negli otto anni con la Roma, ha vinto una Coppa Italia, portando i giallorossi con Ottavio Bianchi in panchina a una finale di Coppa Uefa contro l'Inter, persa per motivi di fischi arbitrali, dopo che quella Roma in Coppa Uefa si era resa protagonista di una cavalcata straordinaria. Mise a segno il colpo Aldair senza che mai gli sfuggisse una parola di troppo. Viola gli aveva detto che non si doveva mai parlare del possibile arrivo di quello che poi per noi sarebbe diventato Pluto. Ciccio non si fece uscire un fiato. In gran segreto andò una volta in Germania accompagnato da Ettore Viola. Obiettivo ritornare con Hassler. L'incontro sembrò andare bene, poi la Roma scoprì che le mille mani della Juve avevano più potere e allora per poter vedere Tommasino si dovette aspettare qualche altro anno. Chiuse, sempre con Ettore Viola, l'acquisto di Carnevale. Anche qui con un'operazione da spy story. L'attaccante era tesserato del Napoli. Le parti si incontrarono in una villa a Formia di Raffaele Ranucci, all'epoca dirigente della Roma. L'affare si chiuse, ma Ranucci fu deferito. Per tutti c'era quel classico «un buon giocatore». Così come per tutti lui era un gentiluomo. Buon viaggio Ciccio.
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