La Roma si affida a Pellegrini e Mikhitaryan per centrare la doverosa rivincita
I trequartisti fra le chiavi di questa fase positiva. Il loro estro dietro Tammy è la freccia in più nell’arco di Mou. Nella disfatta norvegese entrarono nella ripresa
A rileggere adesso formazione e risultato si fa fatica a credere che si tratti della stessa squadra. E in qualche modo la constatazione non è troppo lontana dalla realtà. A distanza di cinque mesi e mezzo dalla disfatta norvegese, quella serataccia del 21 ottobre che mandò in scena la gara valida per il girone di Conference League, in casa Roma è cambiato tutto. A partire dai risultati: la striscia di dieci utili consecutivi è in bella mostra a certificarlo. Così come i gol subiti, sempre meno con sempre più frequenti clean sheet.
Per non parlare di quella formazione più che sperimentale (una sorta di peccato di leggerezza, come ammesso dallo stesso Mourinho a fine partita) messa in campo all'Aspmyra Stadion. Di titolari scampati alla grande epurazione ne sono rimasti due: Rui Patricio e Ibañez. In quattro sono andati a cercare fortuna altrove nell'ultima sessione di mercato (Reynolds, Calafiori, Villar e Mayoral). Altri tre sono ormai usciti dai radar dello Special One (Diawara, Darboe e Perez). Soltanto El Shaarawy e Kumbulla rientrano ancora nelle turnazioni, sia pure partendo in seconda linea rispetto ai compagni che ormai costituiscono l'ossatura quasi immutabile dell'undici mourinhano. Lo stesso sistema di gioco è stato rivoluzionato: difesa a tre già dal tardo autunno, doppio trequartista alle spalle di Abraham nelle ultime uscite ufficiali, che qualche soddisfazione l'hanno regalata.
Pellegrini e Mkhitaryan qualche metro più avanti rispetto alla cerniera mediana costituita da Cristante e Oliveira garantiscono estro e verticalità. Quel palleggio in lungo e in largo attraverso il quale la Roma è arrivata da porta a porta in venti tocchi contro la Sampdoria ha coinvolto dieci giocatori, ma è stato impreziosito dal cambio di passo dell'armeno e dall'imbucata del Capitano per Zalewski. Anche il 2-0 del derby ha avuto una costruzione simile - sia pure meno complessa - sintomo che il modo in cui la manovra si distende quando ribalta il campo non è affatto casuale.
Pellegrini e Mkhitaryan esultano dopo la rete segnata al Genoa dall'armeno (Getty Images)
E fra le linee la fantasia dei due può sprigionarsi liberamente o quasi. È proprio nel peso specifico di Pelle e Micki (fra posizione, rispettivi stati di forma e doti personali) che si può rintracciare una delle chiavi che hanno spalancato la porta alla lunga sequenza proficua in atto.
Più che la quadra, la sensazione è che JM abbia proprio trovato la squadra, dopo un processo lungo e non privo di qualche dispiacere di troppo. Primo fra i quali - almeno per dimensioni - proprio quello rimediato a Bodø il 21 ottobre scorso. I norvegesi nel frattempo hanno sì vinto il proprio campionato, ma anche cambiato diversi uomini (la stagione per loro è agli albori, il mercato si è già compiuto). Mentre a Trigoria si respira voglia di rivalsa. Già il ritorno all'Olimpico nel girone - con uno schieramento molto più vicino all'attuale nella scelta degli uomini - ha rappresentato un'altra storia (soltanto l'assenza del Var ha impedito un successo che sarebbe stato più che meritato). All'andata l'ingresso nella ripresa dei big (Cristante e Abraham più gli stessi Pellegrini e Mkhitaryan) arrivò a match già ampiamente compromesso, non tanto nel punteggio quanto nell'atteggiamento. E finì con le doverose scuse dei calciatori a un settore ospiti grondante passione e calore anche fra i ghiacci del Circolo Polare Artico. Loro, i tifosi, riempiranno di nuovo quello spicchio del piccolo impianto. Ai giocatori il compito di regalare la doverosa rivincita.
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