Chiamami col tuo nove: il derby nel segno dei record di Abraham
Raggiunta quota 23 reti stagionali e superati Montella (in tribuna) e Batistuta. E le fatiche della gara lo fermano: niente nazionale per lui
Se i suoi gol non fossero già così tanti, si potrebbe pensare che Tammy Abraham scelga con cura le occasioni giuste. Dieci centri decisivi ai fini del risultato finora. E quale migliore circostanza dell'ultima per entrare ulteriormente nel cuore dei tifosi e centrare altri record? Il derby, lo stadio traboccante passione, l'avversaria di sempre che in questo caso lo è anche negli obiettivi stagionali, il sorpasso in classifica. E in aggiunta, anche Totti e Montella sugli spalti. Rispettivamente il re di tutto - derby compresi ovviamente - e quello delle segnature multiple nella sfida. Insieme firmarono un altro trionfo memorabile, vent'anni prima (10 marzo 2002) di quello griffato Abraham. Cinque a uno, con poker del centravanti e capolavoro del Capitano. Qualcosa di simile a quanto accaduto domenica, perfino nella sequenza e nella fattura dei gol che hanno annichilito gli avversari in meno di un tempo. Anche se in questo caso il numero 9 attuale si è fermato a una doppietta. Ma il tris personale era alla sua portata e a fine gara non ha mancato di rammaricarsi per l'occasione sprecata. Avrà tempo per rifarsi con gli interessi. Anagrafe, qualità e numeri sono tutti dalla sua parte. E questi ultimi sono strepitosi: le due reti rifilate ai dirimpettai gli hanno comunque permesso di scavalcare nella classifica delle marcature al primo anno in giallorosso due mostri sacri della storia romanista. Vincenzino appunto, e Batistuta: ovvero gli attaccanti del terzo Scudetto, mica due di passaggio.
Ha impiegato meno di un minuto l'impaziente inglese per mettere la freccia sui due bomber da leggenda: un tocco con le parti meno nobili per una nobilissima causa, incanalare uno scontro diretto verso un tripudio di giallo e rosso. Quota 23 invece l'ha toccata da centravanti di rango, seguendo la transizione guidata da Mkhitaryan e rifinita dal cross in corsa di Karsdorp: 2-0 e tutti a casa alé alé in poco più di venti minuti. Col tocco d'autore di Pelle a mettere definitivamente in ghiaccio un match che di fatto non è mai esistito. Un altro avrebbe potuto sentirsi appagato da un simile approccio. Tammy no. Ha continuato a lottare su ogni pallone, proteggendolo per far risalire i compagni nelle fasi di alleggerimento, andando a contrasto ed esultando per ogni esito positivo, aiutando perfino la difesa sui corner avversari, fino a creare paradossalmente l'impegno maggiore per Rui Patricio nella sua serata da spettatore non pagante, con una palla smorzata di petto che ha costretto il portoghese all'unico tuffo della serata. Fiuto del gol e tecnica sopraffina unite a concentrazione e generosità: Abraham sarebbe un attaccante da sogno se non fosse reale. Ma lo è, ed è della Roma. Per proprietà e ormai anche senso di appartenenza. In pochi hanno stabilito in tempi tanto ridotti un'empatia così forte coi tifosi. Lui sì e non soltanto grazie alle sue cifre da record. Canta l'inno, balla perfino con il pubblico, se lo abbraccia appena può e chiede scusa quando sbaglia. Dopo la batosta col Bodø era in prima fila sotto il settore ospiti. Nessuna scelta di comodo, zero ipocrisie. E quella spasmodica voglia di combattere anche a costo di pagarne in prima persona le conseguenze. Questa volta dovrà rinunciare alla chiamata della sua nazionale per un dolore avvertito nel finale del derby, quando ancora rincorreva ogni avversario per tenere il risultato. Tammy ha accusato il riacutizzarsi di una lombalgia che già lo perseguitava da un paio di partite. Resterà qui durante la sosta. A Roma, casa sua.
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