La cronaca di Roma-Lazio: la partita perfetta
Biancocelesti schiantati dalla doppietta di Abraham e dalla perla di Pellegrini su punizione: basta un primo tempo strepitoso per vincere il derby e fare il sorpasso
Segnatevela questa data, perché il derby di domenica 20 marzo 2022 entrerà nella storia della città, della squadra e di questa strana partita matta e magica. Come il 3-0 con Mazzone, il 4-1 dei quattro gol in un tempo nel ‘99, il 5-1 con la quadrupletta di Montella (ieri in tribuna), stavolta è arrivato il 3-0 di Mourinho e stavolta non si può che partire da lui. Prima della splendida doppietta di Abraham, prima della prodezza di Pellegrini, prima di ciascuna delle meravigliose prove individuali dei giocatori in campo, con addirittura Zalewski sui livelli marziani di Mkhitaryan, va riconosciuto il genio dell'allenatore portoghese che nel giorno più adatto e ovviamente più temuto si è inventato una formazione inattesa e due o tre mosse tattiche che hanno squagliato le (ridotte) resistenze laziali. Si diceva alla vigilia: stava a lui tirar fuori qualcosa di inedito ad una squadra che ultimamente era sembrata avvitarsi nella spirale del non gioco.
E lo Special One lo ha fatto, stravincendo il confronto con Sarri, che si è poi ridotto in sala stampa a dire che la partita poteva essere indirizzata su un altro binario se l'arbitro avesse concesso un rigore per la gomitata di Ibañez su Milinkovic-Savic all'11°, quello che all'equilibrato Irrati e a tutti gli osservatori di buon senso è sembrata solo una sbracciata di un difensore stretto tra due giocatori e chiamato dal gesto ad usare le braccia per raggiungere la massima elevazione. Che poi abbiano dato (spesso contro la Roma) rigori meno "fallosi" è un altro discorso. In ogni caso (non) ci dispiace per Sarri: ma quella di ieri è una partita che non ha un'ombra da qualsiasi parte la si guardi. Ci sono due colori a splendere alti, il rosso e il giallo, con le prospettive della stagione che all'improvviso si riaprono lucenti: perché è stato operato il controsorpasso e perché certe sfide segnano le gerarchie.
Il dominio della Roma è partito dal 1° minuto, con il primo possesso interrotto e la prima transizione profonda portata fino nel cuore dell'area, una delle tante che si ripeteranno con frequenza costante. Non a caso la Lazio ha avuto il controllo del pallone per due terzi della gara, sterilmente. Dal relativo corner, Pellegrini ha calciato una parabola tesa, alta e forte, con un effetto pauroso a ricadere proprio sulla traversa con Strakosha inutilmente proteso, e l'immediato tap-in di Abraham, tra la coscia e la zona pubica, a indirizzare subito la stracittadina. Ha così subito preso la forma più consona alla partita immaginata da quel volpone di Mourinho, l'uomo al quale non a caso un intero popolo si era affidato nel buio delle proprie incertezze sapendo di veder prima o poi restituita tanta fiducia. Eccola lì, nella partita svolta della stagione, si svela il significato di avere in panchina uno come lui: per affrontare la Lazio ha pensato ad una formazione folle eppure geniale, con un ragazzino noto a Trigoria per le sue doti da trequartista eppure messo sulla fascia sinistra ad opporsi a Felipe Anderson, cioè al giocatore tecnicamente più pericoloso, se è in serata, della Lazio.
Ma per il brasiliano non è stata serata perché Zalewski l'ha umiliato in campo fino a costringere Sarri a cambiarlo di fascia, per vedere se dalle parti di Karsdorp invece sarebbe riuscito a fare qualcosa di buono, e invece no. E nella ripresa l'ha rispostato a destra, a rifarsi umiliare, fino all'inevitabile cambio. In difesa il satanasso ha scelto i giocatori più veloci, Mancini, Smalling e Ibañez, immaginando degli uno contro uno che non ci sono praticamente mai stati, e in mezzo ha riproposto la coppia a regimi ridotti composta da Oliveira e Cristante, forse immaginando che per reggere il confronto con Luis Alberto e Milinkovic-Savic poi non sarebbero occorsi realmente dei velocisti, ma dei giocatori di tecnica e esperienza internazionale, capace di reggere il campo e non abbassare mai sguardo e ritmo.
E davanti ha chiuso il quadrilatero di piedi buoni alzando Mkhitaryan e Pellegrini, in versione magistrale, alle spalle dell'incontenibile Abraham, nella serata in cui Tammy si è definitivamente consacrato nei cuori dei romanisti scavalcando e staccando Batistuta e Montella nella classifica dei bomber giallorossi precoci. Non bastandogli il primo gol, l'inglese ha fatto venire giù l'Olimpico con il bellissimo raddoppio, con un'azione che va raccontata nel dettaglio: Karsdorp aveva condotto il pallone in fascia prima di accasciarsi un momento per una fitta alla schiena, ma poi l'azione era continuata fino a trovare Mkhitaryan in posizione di ala destra su cui lo stesso olandese ha sovrapposto a cento all'ora perfettamente assecondato dall'armeno, e sul cross forte e teso è intervenuto in plastico volo Abraham, a chiudere la traiettoria in porta dal secondo palo, per l'estasi romanista.
Si era già capito che la Lazio non avrebbe più retto al confronto: palleggiava bassa, e sulla trequarti partiva il feroce pressing romanista con tre uomini alti (i due trequarti e la punta) con Oliveira e Cristante a inaridire aggressivi i suggerimenti per Milinkovic e Luis Alberto, così l'unico sfogo era in fascia (a destra Marusic e a sinistra Hysaj, con Lazzari in panchina) dove arrivavano come falchi Zalewski da una parte e Karsdorp dall'altra ad alzare un altro pezzo di diga. E proprio da un intercetto di Zalewski è nata l'azione al 27° che ha condotto ancora il docente di calcio Mkhitaryan a rimettere proprio il giovane polacco davanti a Strakosha, bravo a respingere il tentativo del bambino, come lo chiama Mourinho. Al 38° Zale ha commesso l'unico errore della sua partita, favorendo una transizione laziale fermata da Rui Patricio (tiro di Luis Alberto).
Poi al 40° Pellegrini si è presentato a calciare una punizione da 25 metri spostata sulla destra, non la mattonella migliore per un destro: ma il capitano ha inventato una parabola alla Messi, infilando la palla esattamente nel punto dove il palo si incrocia con la traversa, dove Strakosha è arrivato solo con i polpastrelli. Una delle punizioni più belle mai tirate da un romanista. Al 43° Pedro, fischiato dall'Olimpico romanista, è stato ammonito per proteste e pure l'invasato Patric dalla panchina si è beccato il giallo, prima di provare persino a picchiare un inserviente laziale che provava inutilmente a calmarlo. Insomma, si stava delineando la serata perfetta e solo il rischio di sentirla già vinta avrebbe potuto cambiare il senso della gara: è quello che hanno temuto Mancini e Mourinho quando si sono rivolti seccati alla curva e alle tribune quando sono partiti di olè di scherno prima della fine del tempo, col risultato che Ibañez s'è impappinato e Immobile per poco non ha rimesso in partita la Lazio.
L'intervallo dei biancocelesti è durato appena qualche minuto: qualcuno deve aver suggerito di provare a fare la voce grossa per salvare almeno la faccia, ma quando una partita va così non sono certo i gesti simbolici ad invertire un flusso. Perché la squinternata Lazietta presentata da Sarri non ne aveva né la forza né le capacità tecniche o tattiche: Milinkovic e Luis Alberto hanno sprecato decine di palloni, Leiva s'è ritratto come un pulcino, Immobile non l'ha mai presa e Felipe è andato presto a riposare. L'unico che ci ha messo qualcosa in più è stato Pedro, ma un po' Karsdorp e soprattutto Mancini lo hanno presto ammansito. Le telecamere ogni tanto inquadravano Totti, felice accanto a Venditti, e rimandavano le immagini sul tabellone, per altre esultanze dei romanisti, ormai increduli rispetto al timore con cui ci si era avvicinati alla partita. Irrati, forse impietosito dalla pessima figura dei laziali, ha lasciato correre qualche fallo senza sanzionarlo col giallo, che invece ha sventolato a Karsdorp, Zalewski e Oliveira. Gli ultimi due sono stati anche sostituiti da Mourinho proprio per non correre rischi, da Viña e Veretout (e nel finale entrerà Bove per la standing ovation a Pellegrini).
E la partita? Niente, la Lazio come una mosca in un barattolo sbatteva contro la difesa giallorossa e a far male poteva essere ancora la Roma. Come al 22°, quando un lancio tottiano di Cristante ha trovato Abraham alle spalle della difesa, ingordo l'inglese ha controllato e aperto il piattone per battere subito Strakosha a destra, quando avrebbe potuto scavalcarlo a sinistra con un dribbling che pareva già disegnato. Ma forse sarebbe stato troppo segnarne tre da solo. Sarri ha messo Romero e Cataldi per Felipe Anderson e Leiva e la partita si è solo arricchita di gesti simbolici: tipo i dribbling inutili dell'argentino o le conclusioni di Cataldi in curva, perfomances dimostrative dell'incapacità di una squadra rispetto ad un'altra. Così si è arrivati al 94° senza altri dettagli da raccontare, e senza altri cambi possibili per la Roma: perché per fare tre sostituzioni Mourinho ha usato tre slot e dunque Zaniolo e Maitland-Niles, che si stavano scaldando, sono tornati a sedersi. Sul mancato ingresso di Nicolò si potrà fare letteratura, ma la lettura più semplice è una: le scelte spettano all'allenatore, quelle di ieri hanno dimostrato che Mou è ancora un pezzo avanti a tanti altri.
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