El Shaarawy e comagni: verso una Roma a immagine e somiglianza di Mourinho
Il Faraone il migliore ad Arnhem. È lui il simbolo di una squadra in crescita e che sa gestire le fasi della gara. Udinese, derby e Vitesse i test per dimostrarlo
Se l'atteggiamento di una squadra si vede anche da chi entra in campo a partita in corso, allora Stephan El Shaarawy è il simbolo della Roma uscita vincente dal Gelredome di Arnhem nell'andata degli ottavi di Conference League. Subentrato nell'intervallo a Viña, il Faraone è andato a posizionarsi sulla sinistra, a tutta fascia, in un ruolo che aveva già ricoperto con Mourinho nel momento in cui il tecnico portoghese era passato al 3-5-2. La risposta del numero 92 è stata esemplare, e alla fine Elsha è risultato il migliore in campo: ha dimostrato lo spirito di sacrificio che lo "Special One" chiede ai suoi, interpretando in modo giudizioso le consegne tattiche.
Sembrava dovesse partire dall'inizio, ma alla fine Mou ha deciso di preferirgli il laterale uruguagio, mandandolo in campo nella ripresa, quando la Roma - fino a quel momento apparsa parecchio sofferente - aveva appena trovato il vantaggio con Sergio Oliveira. Nella seconda frazione i giallorossi si sono sciolti, rendendosi pericolosi in un altro paio di circostanze e sfiorando il raddoppio. L'ex milanista, dal canto suo, ha aiutato in fase difensiva, tentando anche qualche sgasata delle sue in proiezione offensiva. Ha creato innumerevoli problemi alla non irresistibile retroguardia del Vitesse, ha macinato chilometri e - come dice il vecchio coro - superato gli ostacoli. Un approccio ineccepebile da parte di Stephan, che in questa stagione si sta rivelando una preziosa arma in più per la Roma. Dal gol al Sassuolo in poi, al netto degli infortuni che lo hanno frenato, il ventinovenne di origini egiziane ha fatto cambiare idea a Mourinho. Il tecnico stesso ha ammesso di essere stato sorpreso dalla determinazione del Faraone, un giocatore che - ha aggiunto qualche settimana fa - «mi piace tantissimo». Perché, fin dall'arrivo dell'allenatore di Setubal, si è messo a disposizione, lavorando sodo in silenzio quando era indietro nelle gerarchie. Gerarchie che pian piano ha scalato, sfruttando le opportunità che gli sono state date. È esattamente quello che José chiede ai suoi: risposte sul campo. Quelle che ha avuto, ad esempio, da Kumbulla, unico calciatore assieme ad El Shaarawy in campo nella disfatta di Bodø ad aver riconquistato la fiducia di Mou. A quasi quattro mesi di distanza, contro un'altra squadra giallonera e sempre in Conference League, il centrale e Stephan sono stati i migliori in campo in una gara difficile, sofferta per tutto il primo tempo, ma nella quale la Roma ha saputo essere cinica, spietata. Matura. «Stabile», come ha detto il tecnico. E ha portato a casa il terzo clean sheet consecutivo, cosa che non succedeva da fine novembre.
Più pragmatici
Pur evidenziando le difficoltà avute nel primo tempo, dopo la gara di giovedì le parole di Mourinho hanno sottolineato alla perfezione cosa abbia funzionato a livello di squadra: «Ora capiamo meglio le situazioni di gioco, i momenti della partita e quello che dobbiamo fare. Siamo più pragmatici, meno ingenui e uniti nel momento di difficoltà». Insomma, la Roma è sulla giusta: c'è ancora tanto su cui lavorare, ma i passi avanti giorno dopo giorno si vedono. Abraham e compagni sanno essere più cinici rispetto alla prima parte di stagione - quando, soprattutto sotto porta, si vedevano tanti errori - e si vedono meno buchi tra i vari reparti. In fase difensiva c'è ancora qualcosa da registrare, ma di certo si subisce meno. Lo dimostrano i numeri: con la gara di Conference League, i minuti di imbattibilità di Rui Patricio sono saliti a 340' (recupero escluso): l'ultima rete incassata è quella incassata da Tameze in Roma-Verona del 19 febbraio. Solo alla fine di novembre i giallorossi erano riusciti a chiudere la porta per tre gare di fila (2-0 a Marassi col Genoa, 4-0 allo Zorya e 1-0 contro il Torino all'Olimpico).
Piano piano, José sta plasmando una squadra a sua immagine e somiglianza: una squadra che sa essere sporca quando le circostanze lo richiedono e che sa colpire alla prima occasione disponibile, ma che sa anche imporre il suo gioco (come fatto nel secondo tempo contro il Vitesse). Ciò non significa, ovviamente, che la Roma abbia colmato tutte le sue lacune: pur essendo lo "Special One", il tecnico non ha la bacchetta magica. Ma con il giusto spirito, la voglia di lottare, la fame di andarsi a prendere ogni pallone vagante e la freddezza di gestire i vari momenti della gara, questo gruppo sta diventando una squadra.
Ora però, come ha detto il tecnico, la testa è sulla trasferta di Udine, poi arriveranno il ritorno di Conference e il derby. Per dimostrare i passi avanti, non ci sono test migliori di questi. Lo "spirto guerrier" di foscoliana memoria si sta forgiando: con quello, ogni traguardo è raggiungibile per i giallorossi.
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