Baldieri: «Vlahovic alla Juventus? Dal Pisa io dissi no alla Fiorentina»
L'ex romanista: «Non capisco la sua scelta, i tifosi vanno rispettati. Simoni mi voleva in biancoceleste, ma non avrei mai potuto. Liedholm è stato un maestro»
«Sono strano io, sicuramente. Un giorno il presidente del Pisa Romeo Anconetani venne da me e mi disse: "Lei deve andare alla Fiorentina". "Come faccio - risposi io - ad andare in una squadra odiata dai nostri tifosi che invece mi vogliono bene?». Firmato Paolo Baldieri, classe 1965, talento della Roma Anni 80, parte di una nidiata super insieme a Giannini, Desideri, Di Livio, Tovalieri, Gregori e diversi altri arrivati fino alla prima squadra e all'azzurro. Reminiscenze quelle dell'ex attaccante giallorosso di un calcio che appare sempre più lontano, nei giorni del passaggio di Vlahovic dalla Fiorentina alla (ex?) arcirivale Juventus. Proprio la trattativa che ha portato il serbo a Torino ha ispirato il racconto di (più di) un rifiuto a club "nemici" da parte di Baldieri.
Anche all'epoca con la Fiorentina di mezzo.
«Sì, ma dalla parte opposta. I viola mi volevano, Anconetani che aveva in mano la metà del mio cartellino aveva già chiuso con loro, ma io mi opposi, non potevo fare uno sgarbo simile ai tifosi pisani che mi avevano accolto così bene».
Difficile dire no?
«Mi è successo due volte con la Fiorentina: ci riprovò quando tornai alla Roma, pare su suggerimento di Eriksson, il che era un po' strano perché quando era nella Capitale non avevamo legato granché».
Non fu il suo unico rifiuto.
«Vero. Ricapitò anche a fine carriera, quando ero a Civitavecchia: tutto fatto con la Viterbese, che mi offriva un triennale. Io non sapevo della rivalità fra le due squadre, mi avvisarono i tifosi e rinunciai. Per rispetto verso di loro, ma sinceramente colsi la palla al balzo: avrei dovuto fare il pendolare e così ho evitato 100 chilometri al giorno».
Da Firenze però c'è appena stata una partenza importante.
«Non ho capito la scelta di Vlahovic, davvero. Con la corte di mezza Europa, perché andare proprio alla Juventus? Per carità, i soldi contano, ma aveva ogni opzione possibile e invece come già successo in passato dalla Fiorentina passano proprio alla rivale più odiata».
Dica la verità, anche alla Juve avrebbe detto no a suo tempo?
«Se ne parlò della Juve, come anche della Sampdoria, dove giocavano molti dei miei compagni in Under 21. Ecco, forse a Genova col senno di poi sarei andato: mi sono sempre trovato più a mio agio in club con minore pressione, dove sarei stato considerato una persona più che un numero».
Perciò gran parte della carriera l'ha trascorsa in provincia?
«Non solo. Ricordo che si parlò anche dell'Inter, ma il mio ritorno a Roma non era stato facile dopo qualche ottima stagione fuori. E poi ora che ricordo bene ci fu un'altra possibilità clamorosa per uno cresciuto nella Roma come me».
Quale?
«Gigi Simoni era appena passato in biancoceleste. Con lui avevo un ottimo rapporto, insieme avevamo vissuto una bellissima annata a Pisa culminata con la promozione. Mi disse: "Paolo, se vuoi venire con me farò di tutto per farti prendere". Ringraziai, ma lì non avrei proprio potuto andarci e lo capì anche il mister, che pure non era romano».
È ancora praticabile questo genere di scelte nel calcio moderno?
«Mi piace il tramonto, quindi forse sono un romantico e penso di sì. A volte mi ripeto che avrei dovuto pensare un po' più agli affari miei, però sapere che ancora adesso mi ricordano con affetto a Pisa fa piacere. Ma se non con il cuore, è almeno possibile scegliere con la testa, evitare di andare a finire proprio lì dove si può creare un dispiacere ai tifosi. Come ha fatto Donnarumma: era a scadenza, ha legittimamente scelto di guadagnare il più possibile, ma è andato all'estero, mica all'Inter».
Traspare grande considerazione dei tifosi dalle sue parole. Lei lo è ancora?
«Certo, la Roma la seguo sempre, anche se ci fa un po' penare. Ma credo sia una squadra di talento, lo si è visto anche contro l'Atalanta, per 70 minuti con la Juventus. Certo, manca un po' di esperienza. Manca un Falcao, un Agostino, un Cafu. Così sarebbe da scudetto».
Lei ha esordito con Liedholm, ora c'è Mourinho: vede punti in comune fra i due?
«Il Barone era fantastico, carismatico, non lasciava nulla al caso, faceva migliorare tutti: con lui sono passato da venti palleggi a mille. Non conosco Mou: si percepisce grande personalità, forse in comune hanno anche l'ironia. Se avrà giocatori all'altezza può puntare in alto. Io lo spero».
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