Contro il Porto sette italiani: Monchi ne vuole ancora di più
La squadra schierata martedì sera aveva solamente quattro stranieri. L’ultima volta è successo nel settembre 2010, in una gara con il Bayern
Sette uomini e una coppa. Se la Champions è viva più che mai e la Roma fra tre settimane andrà a giocarsi la qualificazione a Porto forte del vantaggio conquistato all'Olimpico, il merito è anche degli italiani ai quali si è affidato da Di Francesco. Sette su undici nella formazione iniziale di martedì sera. Un ottavo - Santon - è entrato nel finale di partita. Non è un evento inedito nell'era in cui è possibile schierare tutti stranieri, ma poco ci manca. L'ultima volta era accaduto otto anni e mezzo fa, ancora in Champions, nella trasferta di Monaco con il Bayern del 15 settembre 2010. Ranieri in panchina; Rosi, Cassetti, De Rossi, Brighi, Perrotta, Totti e Borriello in campo; 2-0 per i bavaresi il risultato finale di una partita tutt'altro che memorabile per la Roma. Mentre per trovare un precedente simile nel nostro campionato, bisogna risalire alla gara casalinga contro il Bologna, disputata il 5 aprile 2009. Ironia della sorte, il prossimo avversario dei giallorossi con lo stesso allenatore dell'epoca, Mihajlovic. In quel caso la squadra guidata da Spalletti schierava Motta, Panucci, Tonetto e ancora De Rossi, Brighi, Perrotta e Totti: punteggio differente, fermato sul 2-1 da due rigori del numero 10.
Non solo Zaniolo
Nella serata che ha fatto scalare a Zaniolo anche le vette continentali, il gruppone di supporto al talento col numero 22 portava il tricolore come tratto distintivo. E a parte Mirante, che ha trovato la porta spalancata dalla condizione precaria di Olsen, per tutti gli altri si tratta di conferme. La Roma sta diventando una squadra con un'impronta sempre più italiana in diversi ruoli chiave. Partendo dalla linea arretrata, dove Florenzi costituisce l'eccezione all'unico reparto che si basa su tre giocatori stranieri pressoché inamovibili (Manolas, Fazio e Kolarov). Anche la crescita di Karsdorp prima dell'ennesimo stop muscolare non aveva certo sbarrato la strada al numero 24, che ha dimostrato una duttilità tattica tale da consentirgli di giostrare in più zone.
Comanda De Rossi
A centrocampo comanda De Rossi. In ogni senso. Il filo conduttore fra passato e presente è Capitano e regista di tutte le operazioni, da quelle mirate a infrangere gli attacchi avversari a quelle che fanno partire ogni azione romanista. La sua assenza prolungata si è fatta sentire molto più di quanto fosse prevedibile. Da quando è rientrato, la Roma subisce molto meno e non può essere un dato basato sulla casualità. Ai fianchi del numero 16, nel ritorno al 433, Cristante e Pellegrini sono molto più che scudieri. Entrambi alle prese con un avvio di stagione non semplice, da quando si sono sbloccati sono diventati colonne portanti della squadra. Così come in attacco El Shaarawy è l'esterno maggiormente utilizzato: un po' per gli infortuni degli altri, molto per la sua propensione al sacrificio in fase di non possesso, qualità fondamentale in ogni schieramento tattico. Attitudine che però non gli ha inaridito la vena realizzativa: al momento è ancora lui l'attaccante giallorosso più prolifico in campionato con otto reti (in quindici presenze, praticamente segna in una gara su due in Serie A).
Sulla squadra più italiana degli ultimi anni è ben visibile la doppia impronta di Monchi e Di Francesco. Il tecnico non ha avuto paura a puntare su di loro, dando fiducia a Pellegrini e Cristante in periodi difficili o lanciando Zaniolo quando il gioiello era molto più che grezzo e la vetrina ancora doveva essere allestita. I giovani talenti italiani che stanno dando nuova forma alla Roma sono frutti di precise scelte di mercato - all'epoca poco popolari - del ds spagnolo. Talmente convinto delle operazioni condotte in porto da rivendicarne la bontà in tempi non sospetti. Aggiungendo anche un'indicazione sul prossimo futuro: «Ho capito che è più opportuno prendere giocatori italiani, sono quelli andati meglio. Sarà una squadra molto più italiana». Se non è una dichiarazione d'intenti, poco ci manca.
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