Continua la piaga blackout. Già Difra, Ranieri e Fonseca ne erano stati vittime
Passano le stagioni e cambiano gli allenatori, ma il problema resta lo stesso: spesso la Roma sparisce dal campo per una parte di gara, compromettendo tutto
Mourinho lo psicologo, quello capace di entrare nella testa dei suoi calciatori e di cambiare la loro forma mentis, trasformandoli in soldati pronti a tutto per la causa e capaci di esaltarli nei momenti più difficili. Ecco cosa serve alla Roma, oltre ai necessari rinforzi in sede di mercato: perché la rosa ha i suoi limiti, e questo è ormai palese, ma concedere agli avversari tre gol in 7' non può essere (solo) una questione tecnica o tattica. C'entra la testa, appunto, proprio quella che spesso e volentieri è stata la peggior nemica dei giallorossi negli ultimi tre anni. Tracolli clamorosi, blackout inspiegabili hanno visto la Roma sparire letteralmente dal campo dalla fine del 2018 ad oggi. Di Francesco, Ranieri, Fonseca, Mou: a prescindere dalla guida tecnica, il problema persiste. E, visto che all'orizzonte c'è il Cagliari, balza all'occhio come proprio contro i sardi (ma in trasferta) ha avuto inizio per certi versi questa inquietante consuetudine per cui la squadra si scioglie come neve al sole di fronte alla prima difficoltà.
Da Cagliari in poi
Le avvisaglie c'erano già state all'inizio della stagione 2018-19, nelle gare casalinghe contro Atalanta (da 1-0 a 1-3 in 19') e Chievo (da 2-0 a 2-2 negli ultimi 30'), ma si palesano in maniera clamorosa alla Sardegna Arena l'8 dicembre 2018. La Roma di Difra, avanti di due gol fino all'85', sparisce dal campo e si vede raggiungere dai gol di Ionita e Sau in 6'. Un mese e mezzo dopo, a Bergamo, dopo essere andati sul 3-0, Dzeko e compagni si spengono all'improvviso, permettendo all'Atalanta (che sbaglia anche un rigore) di acciuffare il 3-3. A Firenze, in Coppa Italia, il blackout è di 90': arriva un ko per 7-1 che ancora oggi brucia e fa male.
Con Fonseca si ripropongono altri «collassi mentali» (per usare le parole di Mou); nel gennaio 2020, nelle due sfide con la Juve (una di Coppa Italia e una di campionato), i giallorossi incassano 2 gol in 8' e addirittura 3 in 20' dagli uomini di Sarri. Pochi giorni dopo, il 1° febbraio, a Reggio Emilia il Sassuolo fa ciò che vuole: 3 reti tra il 7' e il 26', che tramortiscono la Roma e compromettono una gara che poi terminerà 4-2. Solo uno dei tanti esempi di come si possa gettare alle ortiche una partita, scomparendo dal rettangolo verde per qualche minuto. Ma la sensazione predominante, confermata dalla passata stagione, è che, una volta incassato un gol, la Roma crolli, mancando del carattere necessario per reagire: non è la regola, ma è capitato spesso e volentieri.
Il 2020-21 è un'ecatombe di situazioni simili: Atalanta (da 1-0 a 1-4 in 25'), Inter (da 1-0 a 1-2 in 7', poi arriverà il 2-2 di Mancini), derby (due gol incassati tra il 14' e il 23'), Torino (da 1-0 a 1-3 negli ultimi 35') e, soprattutto, Manchester United. All'Old Trafford, dopo aver chiuso in vantaggio per 2-1 il primo tempo, complice un atteggiamento tattico scellerato la Roma incassa 4 reti in 40' e dice addio al sogno di raggiungere la finale di Europa League.
Mou, salvaci tu
Solo uno psicologo e motivatore come Mou può risollevare la Roma. Ma la strada è lunga, e la squadra ricade ancora negli errori del passato. Lo testimoniano gli scioccanti 7' con la Juve di due giorni fa, ma anche le sfide contro Verona (3 gol subiti in 14'), Lazio (2 in 10', complice l'arbitro che non ci dà un rigore) e Bodø/Glimt (4 reti in 38'). Contro Venezia (anche qui il direttore di gara ha non poche responsabilità), Inter e Milan, i giallorossi hanno incassato l'uno-due nell'arco di 9'. Domenica, poi, è accaduto qualcosa di surreale, che fa «male all'anima», come ha detto lo stesso José: il suo compito è arduo, ma non può essere un caso se è ribattezzato "Special One".
© RIPRODUZIONE RISERVATA