Da Totti a Kluivert, passando per De Rossi: belli e brutti di papà
Alcuni padri hanno segnato la fortuna calcistica e non dei figli, altri hanno influenzato negativamente le loro carriere, pretendendo contratti, bonus e garanzie
L'ideale di nome fa Enzo. Cognome Totti. Per gli intimi, lo Sceriffo. Il papà del Dieci che uno così non lo vedremo più. Lo avete mai visto o sentito? La storia vuole che mamma Fiorella sia stata determinante nelle fortune di un Capitano, c'è solo un Capitano. Vero. Ma per certi versi lo è stato di più lo Sceriffo. Gli diceva, «sei scarso, tuo fratello Riccardo è più forte». Francesco Totti lo ha smentito e lo Sceriffo è stato il papà più felice del mondo. E pure noi.
Quello giusto di nome fa Alberto. Di cognome De Rossi. Per tutti da una vita è l'allenatore della Primavera giallorossa, decine di ragazzi lanciati nel calcio che conta. Lo avete mai sentito parlare di Daniele? Lo ricordiamo una volta, quando disse, «non allenerò mai mio figlio». E, credeteci, almeno in una paio di occasioni ne avrebbe avuto l'opportunità.
Quello leggendario di nome fa Secondo. Cognome Ferraris. Papà di Attilio uno dei miti della nostra storia. Era un piemontese trapiantato a Roma. Il figlio era un campione. La Juventus che già all'epoca era la padrona del nostro calcio, si presentò a casa Ferraris, confidando sul fatto delle origini piemontesi della famiglia ma soprattutto sulla sua forza economica. I dirigenti bianconeri misero sul tavolo della sala da pranzo una cifra enorme per l'epoca, «vendici tuo figlio». Secondo non ebbe esitazioni: «Io non vendo mio figlio, lui è della Roma».
Siamo antichi se diciamo che papà così non ci sono più? Forse sì, anche se i fatti più o meno recenti della nostra Roma, ci hanno proposto una serie di genitori che pensando di fare il bene dei figli, in realtà rischiano di rallentarne se non rovinarne la carriera. Anche se nei giorni scorsi, abbiamo fatto la piacevole scoperta di un papà d'altri tempi ci verrebbe da dire. Igor Zaniolo, genitore di quel talento di Nicolò. È stato un piacere, visti i tempi, sentire le sue parole: «Rispetto a inizio anno, Nicolò ha trovato spazio, sperava di non andare via per dimostrare il suo valore. Nuovo contratto in vista? So che ne stanno parlando, ma è l'ultimo dei pensieri. Mi auguro che faccia un lungo percorso nella Roma, spero ci resti più tempo possibile, anche con il contratto attuale. Nicolò è riconoscente e non ha mai chiesto il rinnovo». Roba da non crederci in tempi in cui bastano un paio di partite giocate bene, magari con un gol, perché il papà di turno si presenti per chiedere aumenti, prolungamenti, garanzie, clausole, forse pure qualche fuori busta.
La Roma, in questo senso, negli ultimi anni non si è fatta mancare proprio niente. L'ultimo esempio è stato papà Coric. Che praticamente dal nulla ci ha fatto sapere (ma poi lui e figlio hanno smentito seccamente) che Ante non ne poteva più della Dinamo Zagabria, era intenzionato ad andare via a ogni costo, Francia e Italia no però, ma lo hanno costretto ad accettare la Roma. Fosse vero, non è che tutto questo sia figlio legittimo che il pargolo in questa stagione ha sempre visto gli altri giocare?
C'è stato pure papà Kluivert a garantire materiale giornalistico. Eppure papà di nome fa Patrick, è stato un grande centravanti, in particolare con la maglia del Barcellona, uno insomma che di dinamiche di calcio se ne dovrebbe intendere. Ma per carità. Il figlio che sarà pure un talento ma deve ancora dimostrare tutto, era sbarcato a Roma da poche settimane che papà Kluivert ha pensato bene di spiegare come, per lui, la Roma deve essere una tappa di passaggio per la carriera del figlio, l'obiettivo finale è seguire le orme del papà per andare a indossare la maglia del Barcellona. Parole che hanno fatto irritare anzicheno la società giallorossa e poi, caro papà Kluivert, il figliolo cominci a farci vedere qualcosa con la maglia della Roma, poi nel caso si vedrà.
Ma il record del papà che non ha mai perso un'occasione per starsene zitto o per mettere bocca sulle vicende della carriera del figlio, spetta a Marcao. Genitore di Gerson. Un genitore che ne faceva una e ne pensava cento. In Brasile raccontano che, prima della Roma, aveva venduto il figlio al Barcellona. Per dire sì ai catalani, Marcao si sarebbe fatto anticipare anche una cifra importante (si dice circa un milione di euro). Poi arrivò la Roma, Sabatini convinse il ragazzo a preferire l'opzione giallorossa. Solo che, sempre per come la raccontano in Brasile, Marcao si sarebbe dimenticato di restituire il cash al Barcellona. Cosa che i catalani se la sono legata al dito, tanto è vero che l'estate scorsa, quando Malcom dirottò l'aereo a Barcellona, dopo il decollo in direzione Roma per la firma del contratto, la spiegazione che si diede di quel voltafaccia, fu proprio la vendetta dei catalani nei confronti della Roma in ricordo della questione Gerson.
Quelli che abbiamo fatto sono solo gli esempi più recenti di papà ingombranti e, volendo, pure un po' rompi. Ma ce ne sono stati altri. Uno che non scherzava per niente è stato papà Lamela. Josè aveva capito che Erik sarebbe stato la fortuna di tutta la famiglia. Sabatini era riuscito a convincerlo a dire sì alla Roma dopo due settimane di serrato corteggiamento a Buenos Aires. Una volta arrivato da queste parti, il ragazzino argentino, aveva subito dimostrato di avere le qualità per accendere la fantasia di qualsiasi tifoseria. Bisognava solo aspettare chi offre di più. Tra i pretendenti c'era anche il Napoli. De Laurentis telefonò direttamente a Josè. Appuntamento a Napoli, freccia rossa in direzione Vesuvio, «sei tu quello che offri di più?». La Roma lo venne a sapere, volarono parole grosse prima che, poi, si presentasse il Tottenham, tanti saluti Erik ma non salutarci papà Josè.
E che dire del papà di Bojan? Si era convinto che il figlio fosse il fratello di Messi, del resto i numeri record del pargolo nel settore giovanile del Barcellona, potevano pure dare un po' alla testa. Arrivò alla Roma in prestito per un milione con un riscatto fissato a undici. In panchina si era seduto Luis Enrique, sembrava ci fossero i presupposti per una grande avventura. Niente di tutto questo, Bojan non giocava quasi mai. E allora il papà si presentò in sede, bussò all'ufficio di Sabatini. In mano aveva una serie di foglietti pieni di numeri, i gol del figlio nel settore giovanile del Barcellona e i minuti, pochini, giocati con la Roma. A fine stagione, il ragazzo salutò con il papà sempre a vigilare. Non è che abbia fatto una grande carriera. Un po' quello che è successo a Mattia Destro, pure lui con un papà ingombrante e convinto che il figlio fosse un fenomeno. Oggi Destro fa panchina al Bologna, capito papà?
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