AS Roma

La prima difficile stagione di Carlo Mazzone sulla panchina giallorossa

"Er Magara" rimase in giallorosso, nonostante fosse stato a un passo dall'esonero, e segnò anche il destino di Francesco Totti e di conseguenza quello della stessa Roma

PUBBLICATO DA Massimo Izzi
25 Dicembre 2018 - 10:00

Nella sua recente autobiografia, Francesco Totti rende (come sempre ha fatto, del resto), onore e affetto a Carlo Mazzone, tecnico dei suoi esordi. A pagina 62, Francesco scrive: «L'arrivo di Carlo Mazzone è una delle grandi fortune della mia vita. Romano e romanista come me, coglie al volo la crescita delle aspettative sul mio conto e siccome conosce bene i rischi ambientali che corro, mi fa da scudo per consentirmi ciò di cui ho bisogno: un campionato nel quale irrobustirmi lontano dai riflettori (…). Mazzone mi tratta davvero come un secondo padre e si capisce benissimo che per lui non sono solo lavoro, ma molto di più. Per quanto burbero, l'affetto è trasparente».

 Mazzone aiuta Totti, vittima dei crampi, ai tempi del Brescia. @LaPresse

Ritorno a casa

Del resto, quando era toccato a Mazzone, imbracciare la penna per la sua autobiografia ("Una vita in campo", del 2010), aveva definito Totti "un miracolo del calcio". La stima reciproca, insomma, è uno dei capisaldi della vita sportiva di entrambi, ma è ancora più significativa se si pensa al contesto in cui Mazzone orientò i suoi passi per tutelare il patrimonio Totti. A distanza di qualche decennio sembra tutto doveroso e scontato ma la situazione, nella prima stagione di Mazzone alla guida della Roma, era a dir poco esplosiva. Premessa: Carlo era tornato alla Roma accolto trionfalmente ("Bentornato a casa" lo striscione che gli dedicò la Curva Sud) e a coronamento della propria esperienza professionale e umana. Appena avuta la certezza del suo arrivo sulla panchina giallorossa, andò a mettere un fiore sulla tomba dei suoi genitori, perché per lui Roma è la famiglia, gli affetti più cari, il ricordo dei giorni più belli della sua vita. Per capire lo spirito con cui tornò in giallorosso (dopo l'esperienza da calciatore), basta dire che anni dopo a Claudio Ranieri che si accingeva ad allenare la Roma avrebbe detto:«Hai allenato il Chelsea, sei stato in Spagna, ti sei seduto sulla panchina della Juventus, ma se non sali i gradini dell'Olimpico, tutto questo non conta niente. Se vuoi sentirti veramente un allenatore, devi salire i gradini dell'Olimpico, travolto da un boato che sembra salire dalle viscere della terra, sei frastornato, le orecchie piene di quell'urlo. E poi c'è l'inno di Antonello Venditti, "Roma Roma", che risuona a tutto volume, con un'eco che rimbalza da una curva a quella di fronte, da una tribuna all'altra (…). Da nessuna parte ho mai provato qualcosa di simile».

Trance agonistica

Mazzone - in molti se lo ricorderanno - viveva le gare in una maniera che lo consumava dentro. Se Sacchi ha dovuto lasciare la panchina per il troppo stress, quanto meno lui ha dovuto lasciare la guida della macchina. Avvenne al ritorno da una trasferta ai tempi in cui allenava l'Ascoli. Per la precisione all'altezza di Brindisi, quando andò letteralmente in trance e cominciò a parlare ad alta voce della partita come se stesse ancora rispondendo a una domanda di un giornalista. Allo stesso tempo iniziò a pestare il piede sull'acceleratore. La moglie Maria Pia, che era seduta al suo fianco, spaventatissima, lo scosse urlando: «Carlo vai piano! Non è possibile andare avanti così. Domani ti cerchi un autista. Tu rischi la vita, hai troppi pensieri per la testa». È facile capire un uomo di questo stampo con quanta adrenalina potesse tornare a Roma.

Avvio da dimenticare

Eppure la partenza fu un disastro. Il 1 ottobre 1993 venne già organizzata una riunione a Trigoria per valutare i correttivi di mercato che bisognava approntare. Sensi si disse disponibile a prendere il difensore Festa, anche se l'Inter, per il solo prestito del calciatore, chiedeva un miliardo e mezzo. Nelle prime sei partite, con tre sconfitte, la situazione si era fatta delicata, ma le cose iniziarono a mettersi veramente male nella gara interna con la Cremonese, il 3 ottobre. Fu un match allucinante con un'atroce beffa finale. All'89', sull'1-2 per gli ospiti, Hassler pennellò un calcio di punizione dei suoi e ristabilì quantomeno la parità. L'arbitro Quartucci (come fai a dimenticare qualcuno che si chiama così?), annullò il gol, sostenendo che il calcio di punizione era di seconda. Negli spogliatoi anche la stampa che era stata fino a quel momento a favore di Mazzone (reduce da una storica qualificazione in Coppa Uefa alla guida del Cagliari), mostrò le sue perplessità. Gianni Melidoni scrisse: «Quando mai si sono visti il pressing, le marcature a scalare, gli scatti, magari a vuoto per dettare il passaggio? Come si potevano prefigurare i passaggi di prima brevi e rasoterra, se ciascuno restava fermo oppure prigioniero dell'accerchiamento?». Stinchelli, prostrato come tutti per la situazione, rese onore all'uomo: «Carlo Mazzone si fa attendere per il briefing finale, ma alla fine arriva. Pare Cristo in croce, ma non si sottrae alle domande. È un uomo e lo dimostra anche in questa ardua occasione. Altri al suo posto avrebbero invocato tutto il pensabile e l'impensabile per indire un bel black out di circostanza».

Panchina a rischio

Carletto non cerca scuse né sconti e quando gli chiedono cosa farebbe se fosse un tifoso dopo una sconfitta del genere risponde come il cuore gli impone: «Se fossi un tifoso non andrei allo stadio. La squadra rasenta la pazzia». Intanto, fuori dalla saletta, come scrive Francesco Padoa, «succede il finimondo. La contestazione seppur circoscritta, esplode a fine partita. Un gruppo di tifosi cerca di forzare il blocco all'ingresso della sala stampa». Le squadre lasciano lo stadio da un passaggio secondario, il clima è pesantissimo e una delegazione di tifosi viene ricevuta da Marco Mezzaroma, Luciano Moggi e Aldo Pasquali. Il 5 ottobre, con la Roma terzultima in classifica, si inizia a parlare dell'esonero dell'allenatore. Si fa il nome di Bigon che si dice sia gradito a Moggi, mentre come rinforzi per puntellare la squadra filtrano i nomi di Festa, Annoni e Cappioli. Tra Sensi e Mezzaroma c'è però una contrapposizione forte. Pietro Mezzaroma si affida a Luciano Moggi, mentre Sensi non lo vuole nei quadri dirigenziali della Roma. Il primo vuole arrivare all'esonero del tecnico, il secondo è invece per dare ancora fiducia al Mister trasteverino. Mazzone è perfettamente consapevole del momento che vive e di quanto rischia, tanto che, scambiando alcune impressioni con Mimmo Ferretti, gli dice: «Qui a Roma rischio di diventare meno dell'ultimo spazzino. Dobbiamo pensare a salvarci però, non bisogna dimenticare il destino della Fiorentina lo scorso anno».

 La prima stagione di Carlo Mazzone sulla panchina della Roma finì con un settimo posto, a un punto dal Napoli sesto in classifica e dalla qualificazione alla Coppa UEFA. @LaPresse

La contestazione

Quel giorno, è anche quello di una forte (anche se condita da un'amara ironia tutta romana) contestazione a Trigoria. Un centinaio di tifosi, armati di spazzoloni, secchi e stracci, all'inizio dell'allenamento della squadra espone uno striscione: «Se avete una coscienza lavatevela». Alla fine dell'allenamento Mazzone si reca a parlare con i tifosi arrampicati sul muretto. In quanti lo avrebbero fatto? Pietro Mezzaroma, però,a questo punto sembra aver deciso e proprio poco prima della gara di Coppa Italia con il Padova dichiara: «Chi ha sbagliato deve pagare, bisogna valutare con attenzione le responsabilità di ciascuno». Poche ore più tardi il tema esonero torna in ballo in un vertice tra Marco Mezzaroma, Luciano Moggi e Franco Sensi. La sensazione è che contro il Padova, il 7 ottobre 1993, una sconfitta sarebbe letale, anche se Sensi continua a difendere il suo allenatore contro tutti, sarebbe un colpo letale. A questo punto moltissimi allenatori, con l'acqua alla gola come Mazzone avrebbero gettato sul campo tutto quello che avevano e perché no, anche quel ragazzino, Totti, di cui tutti dicono un gran bene. Mazzone però non deroga alla sua scelta di tutelare la Roma e il suo patrimonio tecnico e Totti con il Padova va solo in panchina. La partita, con le premesse fatte, è da infarto. La Roma passa in vantaggio con Balbo che si vede poi annullare la rete del raddoppio. Quindi i padroni di casa pareggiano e dopo che l'arbitro sorvola su un evidente fallo da rigore di Ottoni su Balbo, proprio nelle ultime battute Lorieri non trattiene un tiro di Gabrieli e Simonetta si trova il match point sul piede… lo sbaglia e Mazzone esce dall'Appiani ancora "vivo".

Il Mister va avanti

Dopo il triplice fischio è furibondo, incrocia i giornalisti e li chiama alla conferenza stampa: «Venite, che dopo ci divertiamo». Sarà un incontro, quello con la stampa, drammatico, in cui Mazzone non lascerà nulla di non detto, rivendicando la buona fede del suo lavoro: «Io voglio far sapere a tutti che Mazzone non si sente assolutamente colpevole. Di nulla». Anche Mezzaroma non può che rimanere colpito dalla dignità dell'intervento di Mazzone e l'indomani una telefonata tra i due ristabilisce il rapporto. A puntellare la sua posizione c'è poi il legame costruito con i calciatori, con Abel Balbo, per fare un esempio clamoroso, che per dare in pieno il suo apporto rinuncia alla Nazionale argentina: «Mi chiamano tutti i giorni per legare amichevoli che ci saranno in preparazione dello spareggio con l'Australia – dice AbelMa come potrei lasciare la Roma in queste condizioni? Non sarebbe corretto, anzi sarebbe una vera e propria fuga. Anche sabato mi ha chiamato un dirigente della federazione argentina, vorrebbe che mi mettessi a disposizione. In un altro momento sarei partito subito, la Nazionale mi fa onore, ma la Roma...». Fu così che "Er Magara" rimase alla Roma, segnando anche il destino di Francesco Totti e di conseguenza quello della Roma.

Carlo Mazzone ha allenato la Roma dal 1993 al 1996. @LaPresse

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