Olsen: "Ora sento più fiducia, è bello arrivare e dimostrare il proprio valore"
Il portiere in esclusiva a Il Romanista: "Venivo da una piccola Lega e in molti non mi conoscevano. Non era facile arrivare dopo un portiere forte come Alisson"
Con i suoi famosi omonimi ha in comune i colori: il verde della maglia che indossa e poco altro. Nessuna maschera come il Robin di Batman, nessuna freccia all'arco a fare da arma come quello della foresta di Sherwood. Piuttosto un sorriso gradevole che a prima vista potrebbe stridere con l'iconografia del gigante dagli occhi di ghiaccio. Ma Olsen non ha bisogno di una lirica da leggenda, gli bastano calma e cortesia per dominare gli eventi e capovolgerli a suo favore. Oltre a
un'insospettabile dose di autoironia che sfodera quando gli viene chiesto se sa che qualcuno ancora si ostina a chiamarlo "Pennellone": chiede l'ausilio del traduttore e risponde con un'espressione sinceramente divertita. Non è ancora padrone della lingua, eppure capisce e si fa capire attraverso la mimica del volto, i sospiri, perfino qualche intonazione vocale, come quando incrocia il suo grande amico Ünder e lo chiama con un romanissimo «Ahò». La forza della serenità che lo accompagna ha un piccolo cedimento soltanto quando gli viene ricordato l'episodio del rigore di Firenze: «Sono ancora incazzato», ammette senza mezzi termini. Eppure da ogni singola sillaba che pronuncia traspare la sua serenità. Cercata, voluta, trovata. «Ma l'inizio non è stato semplice».
Hai sentito il peso della successione ad Alisson?
«Sì, certamente, io venivo da una piccola Lega e in molti non conoscevano neanche il mio nome, non era facile arrivare dopo un portiere forte come Alisson».
Senti che qualcosa è cambiato da allora?
«Sì, ho giocato diverse partite, la maggior parte anche bene e ho preso fiducia. Questa è la strada giusta».
Forse ai tifosi piace che tu non sia ruffiano.
«Vi ringrazio, li ringrazio».
Quanto è stato importante quell'abbraccio di De Rossi a fine partita con il Torino?
«Fondamentale. L'ho apprezzato moltissimo, c'era molta pressione su di me, ma ho sentito che durante la gara tutta la squadra mi stava sostenendo. È stato importante mantenere la porta inviolata all'esordio».
Eppure ti è sfuggito un pallone che stava finendo dentro. Cosa hai pensato?
«La prima cosa che mi è passata per la testa in quel momento è stata "Cazzo che ho fatto!"»».
Pure a noi.
«Lo immagino. Poi per fortuna la palla è uscita e ho tirato un enorme sospiro di sollievo».
Come percepivi la sfiducia iniziale? Giornali, social, radio?
«Io ho i miei profili social dove tutti possono scrivermi, ma tendo a non leggere molto. È il mio modo di gestire la pressione, mi comportavo allo stesso modo anche a Copenaghen. Ma anche non leggendo, sinceramente, avvertivo la diffidenza, si sentiva... Lo capisco anche: pensavo fosse normale venendo dopo Alisson. Per quello che lui ha rappresentato. Ma è ancora più bello arrivare così e dimostrare il proprio valore».
Ora?
«Ora sento più fiducia, dalla squadra l'ho sempre sentita. Sto migliorando, anche con la lingua, comprendo meglio l'italiano anche se ancora non parlo perfettamente».
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