Mourinho, il risolutore: il dietro le quinte della conferenza
È apparso all’improvviso e all’improvviso è andato via. E quando si è rotta una finestra ha provveduto lui. Sa cosa lo aspetta: dovrà risolvere i problemi
Aveva cominciato a parlare da poco quando tutta la platea è stata attirata da un fastidioso rumore che i fantastici organizzatori di una delle più belle location del mondo – la Terrazza Caffarelli, dal Campidoglio una vista mozzafiato della città – non avevano previsto: perché una copertura antisole delle finestre ha cominciato a sbattere ritmicamente per il ponentino che aveva preso a rinfrescare la sala, autoinvitandosi ad un appuntamento in cui a poco a poco si sono materializzati tutti i simboli di Roma, da Marco Aurelio al Campidoglio, dal Colosseo a San Pietro, da Liedholm a Mourinho. Sta di fatto che il rumore rischiava di interferire con la conferenza: serviva l'intervento di un inserviente, di un tecnico, di uno dei tantissimi collaboratori della Roma presenti alla prima conferenza stampa del nuovo allenatore. Ma Mourinho ha preso tutti in contropiede, come amava fare quando duettava con Guardiola: si è alzato e in un secondo ha risolto il problema alla radice, staccando di netto la copertura delle finestre, accartocciandola in un mucchio e consegnandola a chi l'ha portata via in un secondo. In fondo Mourinho è qui per questo: lui risolve problemi. Poi quello originale, l'Harvey Keitel del tarantiniano Pulp Fiction, si chiamava pure Mister Wolf, il signor Lupo. E chi meglio di Mou potrà risolvere - da lupo - i problemi della Roma?
Lui sembra averli chiari tutti e ha cominciato a dettare la traccia: «Non parlatemi di titoli, parliamo del tempo che ci vuole per raggiungerli». José bada all'essenziale, entra in scena e sparisce senza che nessuno se ne accorga. Così è cominciata la conferenza stampa, così è finita 45 minuti dopo, in pratica il primo tempo di una partita che potrebbe essere lunga tre anni, al termine dei quali lui stesso si augura che i romanisti staranno «festejando». L'annuncio, alle 13,30 spaccate, è stato fatto da Matteo Vespasiani: «Signori, José Mourinho», e tutti hanno guardato l'entrata, da quello che pareva essere l'unico punto di accesso nella sala. E invece Mou è entrato dalla terrazza attigua, in giacca e polo bianca, asciutto e sorridente, ricevendo l'applauso di parte della sala (gli applausi ad una conferenza stampa sono un orpello che può essere fastidioso), ma in fondo quello che si era appena palesato era la nuova star della Roma, era la notizia del calciomercato 2020/2021, era presidente e direttore sportivo, era allenatore e giocatore, ed era tifoso, il primo tifoso. È la parte bella di avere Mourinho e anche la parte rischiosa perché se è vero che lui risolve problemi è anche vero che, a memoria di sportivo, non è esistito un allenatore vincente senza il supporto fattivo e quotidiano di una proprietà forte. Non a caso ha citato Liedholm e Capello, allenatori feticci della storia della Roma, eppure mai in grado di oscurare il lavoro prezioso svolto da Viola e da Sensi, quello che ha consentito loro di portare in trionfo squadre vincenti. I Friedkin lo sanno bene e se non lo sanno ancora lo impareranno presto. Erano in una stanza attigua a quella in cui ha parlato il portoghese, hanno lasciato a Pinto il ruolo di cerimoniere, e i posti in prima fila nella sala a tutto lo stato maggiore dirigenziale, dal ceo Fienga all'olandese Van Den Doel, nuovo guru del marketing. Un posto è stato riservato anche a Jorge Mendes, uno dei più potenti e chiacchierati uomini mercato del mondo, giacca e camicia. E nella manica Rui Patricio e chissà chi altri.
Sul mercato e sul campo Mourinho non si è sbilanciato. Quando parla di tempo, concetto contrapposto a quello dei titoli, sa che ci vorrà un po' alla Roma anche per risanare i conti. Ma quando vuole bada al sodo, e si rivolge direttamente a Pinto: «Direttore, per favore comprami un terzino». La curiosità più grossa resta capire l'idea di gioco su cui svilupperà almeno la parte iniziale del suo progetto tattico. Ha parlato di giocatori da mettere nei ruoli giusti e chissà qual era in testa in quel momento il suo riferimento. Perché ne ha sempre uno. Così quando ha voluto colpire Conte se n'è uscito cominciando con Capello e Liedholm («Non paragonate nessuno a loro se parlate di Roma, non paragonate nessuno a me e Herrera quando parlate di Inter») e quando ha voluto lanciare la stilettata a Suning è tornato sul calcio sostenibile («Non vogliamo pensare subito allo scudetto e poi magari non ci sono i soldi per pagare gli stipendi»). Ma se abbiamo in testa lo stereotipo del Mourinho barricadero, l'ideale portabandiera dei risultatisti che quest'anno hanno ritrovato pure Allegri, forse siamo fuori strada. Dall'ultima volta che l'abbiamo visto in Italia sono passati più di dieci anni, e in tutto il mondo c'è stata la rivoluzione del gioco. E il suo Tottenham non giocava affatto male.
Quanto ai conflitti con i giornalisti, le più recenti cronache dei contesti nei quali ha lavorato non fanno pensare a chissà quali tempeste in arrivo. E quando gliel'hanno chiesto, col solito riferimento alle 5 radio che sparerebbero notizie a tutto spiano (ma quando?, ma dove?), lui si è lucidato gli artigli: «Non sono una persona simpatica nel lavoro, ma devo pensare alla Roma». Ecco, si concentri bene su quello che c'è da fare. A noi è già simpatico così.
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