Intervista a Righetti: «Ho visto la morte, ma non ci siamo piaciuti»
«Stavo giocando a tennis, ho avvertito una pressione al petto. In ospedale, di notte ho avuto 18 arresti cardiaci. Ora sono rinato»
«Come sto? Ora posso dirlo, ora sto bene. Ma ho incontrato la morte. Ci siamo guardati e non ci siamo piaciuti. Sarà per un'altra volta, ma non ora. E ora sto bene, anzi, ne approfitto».
Puoi fare tutto, Ubaldo Righetti. Puoi dire tutto. Anzi, dì tutto, ma proprio tutto. Perché chi ti vuol bene si è preso un bello spavento il 3 maggio e tu ne hai tante di persone che ti vogliono bene. E sono state tante le persone che per qualche ora, per una notte almeno, ma anche nei giorni successivi, hanno vissuto un incubo. Perché Ubaldo a un certo punto ha sentito la frase madre di tutti i momenti drammatici: «Lo stiamo perdendo». E invece non l'abbiamo perso. E adesso, seduto davanti al tavolo del ristorante dove mangia di tutto, con la stessa moderazione di prima, sorride felice e abbronzato, bello come è sempre stato, pronto a raccontare davvero tutto. Dicevamo, volevi approfittarne.
«Sì, sembra banale, ma credetemi, non lo è. E lo dico a te e a tutti quelli che passano una certa soglia di età: fate prevenzione. Fatevi vedere. Fatevi seguire da un medico. Io sono stato ripreso sul punto di andarmene e se fossi stato un po' più attento nelle settimane e nei mesi precedenti avrei potuto evitare a me e alla mia famiglia questo stress».
Proprio te che sei il ritratto della salute.
«Appunto. Non basta l'analisi del sangue. Io sapevo solo di avere un po' di colesterolo alto, ereditario. Si dice: non ho tempo. Una stupidaggine. Oppure: ho paura che esca qualcosa. Appunto: meglio intervenire subito e curarsi quando è indolore. Il tempo si trova, i controlli vanno fatti».
Ti va di raccontare quello che ti è successo?
«Sì, ricordo ogni momento. Stavo al Circolo Due Ponti a giocare a tennis. Faceva caldo, erano le 5 del pomeriggio. Avevo pranzato a Fregene con Lia, la mia compagna. Stavo bene, solo che mi sentivo stranamente stanco sin dalla mattina, e non capivo perché. Quando ho cominciato a scaldarmi ho cominciato anche a sentire una strana pressione sul petto, ma non riuscivo a darle un nome».
E sentivi anche il classico formicolio al braccio?
«No, niente. Solo pressione. Ma come fa uno sportivo mi ribellavo all'idea di avere qualcosa di storto e provavo a forzare. Sono partito malissimo, perdevo 5-1. Con il mio solito avversario, il mio amico Andrea, giochiamo sempre partite tiratissime, palle corte, pallonetti, lungolinea, corriamo sempre. Così ho raddoppiato l'impegno, sono arrivato sul 5-5. Poi ho mollato un po', Andrea ha vinto il set 7-5, abbiamo fatto un altro paio di giochi e così è passata la prima ora di gioco. Mi sono seduto un attimo per riposare e forse lì ho avuto un calo anche di adrenalina. Ho cominciato a sentire la pressione più forte. Andrea pensava scherzassi, perché lo facciamo sempre tra di noi. E invece era serio. Allora mi ha alzato le gambe e ha chiamato le persone intorno».
Tu sempre cosciente?
«Sì, non ho mai perso i sensi. Era come se avessi un peso sulla cassa toracica. Per fortuna è arrivato Leo, un cardiologo che sta lì al Due Ponti e con un gesto probabilmente mi ha salvato la vita. Ora lo chiamo Leo Salvavita. Mi ha fatto prendere subito tre cardioaspirine, un vasodilatatore. L'ambulanza è arrivata subito e mi hanno portato al Sant'Andrea».
Ti sei reso conto che poteva essere un attacco cardiaco?
«Sinceramente no, non ci ho pensato. Cercavo di capire il motivo di quella pressione, non ho avuto neanche il tempo di capire quello che stava accadendo. Ho chiesto ad Andrea il telefono per chiamare Lia. Anche lei ha pensato che scherzassi, del resto scherzo sempre anche con lei. Non ho avuto la forza di risponderle, ho passato il telefono ad Andrea e lui l'ha convinto che fosse una cosa seria».
E al Sant'Andrea?
«Ricordo che vedevo tre monitor alla mia sinistra. Uno era l'elettrocardiogramma, il secondo non lo ricordo, il terzo era l'ecocardiodoppler. E lì ho avuto la percezione come se mi stessi addormentando, sentivo mancarmi le forze. E ricordo questa voce concitata, la dottoressa gridava "Lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo"».
Come nei film.
«Esattamente come nei film. Poi ho ricordi confusi, ma ricordo perfettamente la botta del defibrillatore. Una scossa enorme, penso di essere arrivato al soffitto, mi sono sentito aprire letteralmente. Ricordo di aver lanciato un urlo incredibile. Poi mi hanno intubato ed è calato il buio. L'ultima immagine è il berretto colorato di un infermiere. Se fossi morto quella sarebbe stata l'ultima immagine».
Ne hai avuto percezione?
«L'ho vista la morte, Dani. L'ho incontrata. Ma non ci siamo piaciuti. Ho avuto diciotto arresti cardiaci quella notte. C'era anche il rischio che la mancanza di ossigeno potesse provocare danni al cervello».
C'era il rischio che tornassi uno normale?
(ride) «Ma sai che per un po' ci ho pensato? Ho conosciuto uno che secondo me faceva finta di essere un po' tonto quando non voleva affrontare la realtà. Così quando ho capito che stavo meglio l'idea mi ha accarezzato. Ora faccio finta di non capire. In certe situazioni può essere un vantaggio. Non ti piace una cosa: "Eh?! Non capisco". "Ubaldo che ne pensi?". "Eh?"».
Vedi che scherzi sempre? Poi non ti prendono sul serio. Quando ti sei svegliato?
«Il giorno dopo, e già sorridevo. Come se avessi avuto solo una notte un po' difficile. C'era Lia che però era un po' più provata. La sera prima l'avevano avvertita che avrei potuto non superare la notte...».
I contatti li tenevano quelli della tua cerchia più stretta. Sono stati loro a rispondere alle centinaia tra messaggi e telefonate. I tuoi familiari, e poi Lia, tua nipote Elena Santarelli, il suo compagno Bernardo Corradi. E non dimentico il nostro amico comune Riccardo...
«Sì, io il telefono l'ho ripreso solo tre giorni dopo, quando ho messo anche la foto su Instagram».
E ora?
«Ora va bene, mi hanno messo due stent che garantiscono una buona ossigenazione, la parte destra è un po' ingrossata, ma tutto sommato la situazione è sotto controllo. Ora sono sotto le cure di Ettore Squillace, un famoso cardiologo. Il caso aveva voluto che l'avessi conosciuto due mesi prima perché era nel gruppo di amici di Lia».
Quanti messaggi ti sono arrivati? Ricordiamo lo striscione dei tifosi, le parole di Fonseca in conferenza stampa, tanto affetto dal mondo del calcio. E a te? Qualche messaggio in particolare ti ha colpito?
«Mi ha scritto subito Paulo Roberto Falcao. Carino. Ma non voglio dirne uno più degli altri. Tutti. Anche quello di
Walter Sabatini è stato particolarmente sentito. Anche lui è stato poco bene e sa che cosa posso aver provato. Ma in fondo rispondevo scherzando a tutti, soprattutto a chi mi scriveva "A Uba', mi hai fatto prende un colpo". E io: "Eh, a chi lo dici..."».
La partita in cui si è sentito male Eriksen l'hai vista?
«Sì, in diretta, mi ha fatto effetto anche se ovviamente è stata una cosa diversa per lui».
Ora a che cosa devi rinunciare?
«Per fortuna a niente. La vita regolare la dobbiamo fare tutti, io non mi sento un malato a dover rispettare certe regole. Bisogna mangiare con moderazione, curarsi, fare sport il giusto».
Quando riprenderai le partite con il tuo amico Andrea?
«Presto. Intanto sto facendo lunghe passeggiate. Ma a correre non vado, non mi è mai piaciuto. Poi ho un po' di medicine da prendere, ma non sarà per sempre».
E la prima immagine che ricordi al risveglio?
«È legata a Mourinho».
E che c'entra Mourinho?
«Io sono stato male il 3 maggio. Il 4, al mio risveglio, c'era uno dei fantastici infermieri del Sant'Andrea che ha preso a girarmi intorno. Ovviamente romanista. Mi diceva, "Uba', sicuro che stai bene?". E io: "Certo, non mi vedi?". E lui, scherzando: "Ti devo far vedere una cosa, ma non so se reggi". E io: "Il peggio è passato, dimmelo". Allora mi ha mostrato il cellulare: "Guarda chi abbiamo preso". Sul cellulare c'era il comunicato della Roma con l'annuncio di Mourinho. Non ci volevo credere. Pensato scherzasse. È stato un bel risveglio».
Che ne pensi di lui?
«Grandissimo colpo. Sotto tutti i punti di vista. Mediaticamente è il numero uno staccato. È troppo intelligente, io ormai mi occupo di comunicazione, uno come lui non esiste».
E come allenatore?
«Anche. Ho sentito delle critiche pesanti su di lui. Per carità, il tempo passa per tutti e magari anche lui è cambiato nel tempo, ma per la Roma è esattamente quello che serviva. Io credo che possa portare tutta la sua esperienza. Con lui, con Spalletti al Napoli, con Sarri alla Lazio, con Allegri che torna alla Juventus da manager, e non solo da allenatore, le società sono tornate a puntare sugli allenatori. Si alzerà il livello. Alla Roma la mentalità offensiva e tattica già c'era, serviva uno in grado di migliorare le teste, la mentalità. È perfetto per questo. Ha forza, conoscenze, carisma. Con lui salgono le aspettative, dovrà prendersi del tempo per costruire una Roma vincente. Ma lui è speciale per questo. Un allenatore normale ci può mettere due mesi per capire le cose? Lui magari ce ne mette uno».
Quale problema per primo pensi dovrà risolvere?
«Qui c'è una questione che nessun allenatore è riuscito a risolvere. Questa squadra ciclicamente sparisce. Non cala di forma magari per due o tre partite. No. Sparisce. Crolla. Ecco, questo sarà il terreno su cui dovrà confrontarsi. Dovrà mettere i giocatori di fronte a precise responsabilità. Ho già visto nel documentario sul Tottenham come si comporta. Lui sa motivare i giocatori e pretende da loro comportamenti che siano quotidianamente all'altezza della situazione che richiede».
È qui che è mancato Fonseca?
«Sì, forse sì. Ma chiediamoci pure come ha lavorato Fonseca. A me è sembrato un po' da solo a confrontarsi con tante realtà problematiche».
E non rischia di restare solo anche Mourinho?
«Chiediti quando ha vinto la Roma. Capello si interessava anche di chi alzava la sbarra a Trigoria fino al taglio delle siepi. Liedholm aveva un carattere fortissimo e ha anche lavorato in un club che era già forte di suo. Mourinho può incidere nella stessa maniera. Può far crescere l'ambiente interno, Trigoria. È sempre sfuggito qualcosa lì dentro. Lui dovrà imparare a controllare tutto. Una volta i bambini prendevano uno schiaffo dal maestro e a casa lamentandosi ne prendevano un altro. Con i giocatori deve essere così. Se vai a lamentarti e ti consolano poi diventa difficile. Mourinho, come Guardiola, è in un'altra dimensione. I giocatori sono su un livello inferiore. La comunicazione di questi grandi tecnici è diversa. Se un giocatore sbaglia, gli fanno capire che ha sbagliato soprattutto a non fare quello che gli era stato chiesto. Li lasciano soli nell'errore, e il bello è che il giocatore lo accetta. Loro non propongono le idee che piacciono a loro, ma le idee che servono per vincere. C'è un'oggettività nelle loro valutazioni che non tutti i tecnici possono vantare. E questo per lui sarà un grande vantaggio».
Hai citato Allegri, prima. Con una sottolineatura: è tornato non per fare solo l'allenatore, ma per fare il manager.
«Esatto, alla Juventus sono cambiate le cose, no».
È andato via Paratici.
«Appunto. Max non farà solo l'allenatore».
Tu sei suo amico e certi selfie in primavera avevano fatto pensare che fosse vicino alla Roma. È stato realmente vicino?
«C'è stato un momento in cui hanno parlato. A lui Roma piace e gli è sempre piaciuta. Ma la Juventus è un approdo naturale».
Il Dna bianconero è quello.
«E non lo puoi cambiare».
Mancini ti piace?
«Moltissimo. La nazionale italiana è un gioiellino. Mi piace l'idea di coinvolgere tutti, mi piace come si propone nelle conferenze stampa, mi piacciono i concetti che esprime: la gioia, il divertimento, la spensieratezza. E i giocatori lo hanno pienamente recepito. In più propone calcio moderno, sofisticato, ma anche molto semplice. Fai caso a un dettaglio. Io sono fissato con la postura dei giocatori in ricezione, guarda come corrono in diagonale quando costruiscono. Guarda come gli esterni anche bassi vengono a ricevere anche dentro al campo e guarda i tempi di smarcamento. Tutto produttivo e redditizio. Perfetto».
Che piacere sentirti, caro Ubaldo Righetti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA