Il calcio piange Vialli. Addio a una testa da vincente
Nemico della retorica, ha affrontato la malattia col sorriso. Si è spento a 58 anni nella sua Londra, dove aveva festeggiato la vittoria dell'Europeo
«L'importante non è vincere; è pensare in modo vincente». È uno dei tanti messaggi che Gianluca Vialli, uno degli attaccanti più forti nella storia del calcio italiano, ha lanciato nei suoi ultimi 5 anni di vita, in cui l’ha accompagnato un tumore al pancreas. La malattia che se l’è portato via ieri, a 58 anni, e che lui ha affrontato con uno spirito positivo raro, andando oltre la retorica che spesso si sente in casi simili. Non gli è mai piaciuta la retorica e si è visto in tanti casi, come quando nel 1994 non si fece problemi a dichiarare che preferiva il Brasile all’Italia e nel 1996 disse che agli Europei avrebbe tifato Inghilterra. Ce l’aveva con Arrigo Sacchi, che aveva smesso di convocarlo dal 1992, più perché non si faceva scrupoli a metterne in discussione i suoi metodi di allenamento che non per il famoso scherzo del parmigiano nascosto nel tovagliolo del Ct, che naturalmente non ne ha mai messo in discussione le qualità.
Difficile farlo. Gianluca Vialli, nato ricco ma con una fame di successo che l’ha portato presto in alto, le aveva tutte: fisico, potenza, fantasia (iniziò da ala, col tempo si capì che era meglio tenerlo vicino alla porta), leadership, senso della posizione e del gol, gol che sapeva fare in ogni modo. 123 in Serie A, 21 col Chelsea, 16 con la maglia azzurra. S’impose all’attenzione generale con la Cremonese, divenne presto grande con quello splendido gruppo che è stata la Sampdoria tra i secondi anni 80 e i primi 90. Non sono mancati gli incroci con la Roma, in quel periodo. Provò più volte a portare Giannini alla Sampdoria, perché in Nazionale beneficiava spesso dei suoi assist. Entrambi tra i protagonisti del ciclo di Azeglio Vicini, che sfiorò il successo tre volte: seconda agli Europei under 21 del 1986, terza agli Europei 1988 e a Italia ’90, quando Vialli non diede il meglio di sé e finì, con Carnevale, scalzato da Baggio e Schillaci.
Segnò il 10 maggio 1987 in Roma-Samp 0-3, nel giorno dell’infortunio di Sebino Nela, suo compagno di stanza ai Mondiali del 1986. Che rientrò un anno dopo, sempre in un Roma-Samp, sempre vinto dai blucerchiati e sempre con Vialli in gol. A fine partita, Nela gli regalò la maglia. Lui e Mancini, a gennaio 1988, nel momento del rientro in campo del terzino romanista per gli allenamenti, avevano inviato al romanista un telegramma con su scritto: «Bentornato campione».
Sempre insieme a Mancini, per scherzi, gol e telegrammi. Li pronunciavi insieme, come ogni tanto capita nel calcio. Come «Grazianiepulici» e «Tottiecassano», era «Vialliemancini». Tante coppe, uno scudetto storico, una Coppa dei Campioni sfiorata a Wembley contro il Barcellona anche per un paio di errori sotto porta dello stesso Vialli. Il cerchio s’è chiuso due volte. Nel 1996 alzò la coppa dalle grandi orecchie con la maglia della Juve, nel 2021 fu campione d’Europa proprio a Wembley, da membro dello staff della Nazionale del suo amico Ct. Ieri s’è chiuso l’ultimo cerchio. Non da sconfitto, ma da vincente.
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