Mondiali Story - La caduta della Grande Ungheria di Puskás
Imbattuta da quattro anni e reduce dall'oro a Helsinki nel 1952, la squadra magiara si arrenderà alla Germania Ovest nella più incredibile finale di sempre
Sono in molti a sostenere che, se l'Ungheria avesse vinto i Mondiali del 1954, due anni dopo a Budapest non sarebbe scoppiata la Rivoluzione. Perché fu proprio dopo la finale di Berna che il popolo magiaro iniziò a protestare. Come se la grande nazionale magiara, perdendo in finale contro la Germania Ovest, avesse di colpo fatto cadere l'ultima illusione di gloria. Come se centinaia di migliaia di giovani e meno giovani, vedendo cadere Puskás, Czibor e Kocsis, avessero improvvisamente preso coscienza del giogo sovietico e avessero deciso di ribellarsi.
Non a caso le prime manifestazioni di massa e le prime proteste, per le strade della capitale magiara, si ebbero la sera del 4 luglio 1954, per poi esplodere in maniera definitiva due anni più tardi. Perché l'Aranycsapat (la Squadra d'oro) incarnava tutti i loro sogni, le loro speranze di una vita migliore. Li illudeva del fatto che il Partito stesse davvero costruendo una grande nazione e che Budapest non fosse in realtà una marionetta mossa dai fili di Mosca. Fu la Grande Ungheria, la squadra che ritenevano invincibile, ad aprire i loro occhi una volta per tutte. E lo fece perdendo una partita per la prima volta dopo quattro anni. Quella partita, giocata proprio il 4 luglio 1954 a Berna, era la finale dei Mondiali 1954.
La Squadra d'oro
Per uno strano caso del destino, due dei leader della Squadra d'oro crescono insieme a Kispest, sobborgo a pochi chilometri da Budapest: fin da bambini giocano insieme con palloni improvvisati, fatti di stracci, insieme ai loro coetanei. Ma si vede che, rispetto a loro, sono di un'altra categoria. Il più grande dei due si chiama Jozsef Bozsik, il più piccolo Ferenc Puskás. Entrambi si ritroveranno nella squadra locale, che da Kispest cambia nome in Honved. È la squadra dell'esercito e quindi del Partito comunista, contrapposta al Ferencvaros, che invece è di chiare simpatie destrorse.
Puskás esordisce giovanissimo, tanto che all'interno dello spogliatoio tutti lo ribattezzano "Öcsi", il fratellino. Ma ha la stoffa di un campione navigato, è evidente fin da subito, e ben presto entra a far parte in pianta stabile della nazionale ungherese, guidata da Gusztáv Sebes. I magiari praticano un calcio mai visto prima, una rivisitazione del WM di matrice britannica in cui però, a differenza del passato, l'azione parte dalle retrovie, tutti attaccano e tutti difendono, i centrocampisti si sovrappongono e si inseriscono, gli attaccanti spaziano nella metà campo avversaria e si abbassano per aiutare a sviluppare la manovra. C'è Nándor Hidegkuti, dell'MTK Budapest, che è il primo "centravanti-ombra" della storia, quello che sessant'anni dopo sarà di moda chiamare falso nueve. C'è Czibor che, insieme a Ghiggia, è probabilmente la più grande ala della sua epoca; Kocsis, tra i migliori colpitori di testa della storia del calcio; il grande portiere Gyula Grosics e l'eccellente mediano Zakariás.
Dal 1950 l'Ungheria inizia una marcia trionfale che prosegue fino alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, in cui Puskás e compagni ne rifilano 3 all'Italia negli ottavi, 7 alla Turchia nei quarti e 6 alla Svezia in semifinale. L'atto conclusivo è contro la Jugoslavia: finisce 2-0 per gli uomini di Sebes, con i gol (neanche a dirlo) di Puskás e Czibor. Rientrati a Budapest, gli eroi di Helsinki troveranno ad accoglierli oltre 20.000 persone festanti. Tutti chiedono una sola cosa: vincere i Mondiali in programma in Svizzera due anni dopo.
La partita del secolo
Il 25 novembre 1953 l'Ungheria si reca a Wembley per un'amichevole contro gli inglesi, che all'epoca hanno l'usanza di invitare la nazionale che si è aggiudicata le ultime Olimpiadi. Nel tunnel che porta al campo, Stanley Matthews e compagni guardano con altezzosa superiorità tipicamente britannica alle divise sgualcite e agli scarpini rovinati degli ungheresi. Qualcuno, dandosi di gomito, indica con un sorriso la pancetta di Puskás. Poi però si entra in campo e dopo 70 secondi Hidegkuti ha già segnato: il primo tempo si chiude 4-2 in favore degli ungheresi, un risultato persino bugiardo vista l'imbarazzante differenza tra le due squadre. Il quarto gol magiaro è un capolavoro di Puskás, che con un gesto della suola mette a sedere il capitano avversario Wright e spara uno dei suoi sinistri al fulmicotone. La partita finisce 6-3: i giornali inglesi parlano di "calcio mai visto prima", mentre a Budapest la folla alla stazione stavolta è di oltre 50.000 persone. Ferenc, per coprire i tre chilometri di strada che lo separano da casa, impiegherà quattro ore. Per tutti gli ungheresi quella resterà per sempre "la Partita del Secolo".
Si giocherà anche una rivincita con gli inglesi, stavolta al Nepstádion di Budapest, a pochi giorni dall'inizio dei Mondiali. Perché ai britannici non è andato giù quel 6-3, che ritengono frutto del caso più che del talento magiaro, e vogliono vendicarsi. In effetti stavolta le cose vanno diversamente: l'Ungheria vince 7-1, infliggendo ai Tre Leoni quella che ad oggi è la peggiore sconfitta della loro storia.
Il Mondiale 1954
La Squadra d'oro si presenta dunque alla Coppa del Mondo in programma in Svizzera come la grande favorita per la vittoria finale. E i risultati ottenuti nel girone confermano l'impressione: 9-0 alla Corea del Sud, quindi un 8-3 contro la Germania Ovest di Sepp Herberger, che però ha schierato perlopiù i rincalzi per far arrivare riposati i migliori allo spareggio contro la Turchia. Nel corso della gara, al terzo tunnel subìto da Puskás, il difensore tedesco Liebrich non la prende bene e gli piazza una pedata tremenda sulla caviglia sinistra, proprio all'altezza del malleolo. L'attaccante resta a terra a lungo, contorcendosi per il dolore. Il colpo rimediato lo terrà fuori fino alla partita finale.
Puskas stringe la mano ad Arcadio Venturi in occasione dell'amichevole tra Roma e Honved del dicembre 1956
Senza il capitano, l'Ungheria non smette in ogni caso di vincere: 4-2 al Brasile, stesso risultato (stavolta ai supplementari) contro l'Uruguay campione in carica. Come da copione, i magiari raggiungono la finale in programma a Berna il 4 luglio. La vera sorpresa è che a contendere loro la Coppa Rimet (ri)trovano la Germania Ovest, reduce dal 6-1 rifilato all'Austria. Dopo l'8-3 di pochi giorni prima, non sembrano esserci dubbi riguardo l'andamento del match. Sotto la pioggia pomeridiana, l'Ungheria passa in vantaggio dopo 6' con Puskás, che alla fine ha deciso di stringere i denti ed è rientrato. Passano un centinaio di secondi e Czibor raddoppia: 2-0 dopo 8'. Sembra in arrivo un'altra goleada, ma mentre il temporale si fa sempre più intenso (penalizzando la tecnica ungherese e favorendo l'agonismo tedesco), Morlock riapre la partita. Al 18' Rahn taglia bene sul secondo palo e trova il gol del pari.
Quattro reti in meno di 20' e partita riaperta. La Squadra d'oro attacca a pieno organico: colpisce una traversa con Kocsis e un palo con Puskás, il portiere tedesco Turek compie almeno tre salvataggi straordinari. Il gol ungherese sembra nell'aria, ma a 5' dalla fine un rasoterra mancino di Rahn si infila nell'angolino, fulminando Grosics e un'intera nazione. La Squadra d'oro è sotto a pochi minuti dalla fine. Puskás pareggia, ma il direttore di gara annulla per un fuorigioco che nessuno a parte lui ha visto. Quindi arriva il triplice fischio: la Germania Ovest è campione del mondo, tra l'incredulità degli ungheresi. Che, di lì a due anni, scapperanno dal Paese su cui spira il vento della Rivoluzione. Mentre i carrarmati sovietici entrano a Budapest per sedare la rivolta del '56, Puskás, Czibor e Kocsis scappano in Italia e quindi in Spagna, dove faranno fortuna: il primo con la maglia del Real Madrid, gli altri due con quella del Barcellona.
Nel 1981 quei ragazzi degli Anni 50 torneranno al Nepstádion per una gara di vecchie glorie. Kocsis e Bozsik se ne saranno già andati, mentre Puskás, nonostante i 40 chili di troppo, farà brillare gli occhi di un'intera nazione. "Öcsi", il fratellino che ha incantato il mondo, è finalmente tornato a casa.
Puskas con Di Stéfano e Gento, suoi compagni nel Grande Real
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