Serie A e Covid, i contagiati come gli "infortunati": e se ci scappa il morto?
La Fmsi sta varando i protocolli per allenamenti e gare. Ma i dottori dei club, per ora restando anonimi, sembrano scettici: «Qui stiamo scherzando con il fuoco»
Pretende l'anonimato, almeno per il momento, il medico sportivo che ieri pomeriggio ha aspettato qualche secondo prima di rispondere alla nostra domanda su come si sarebbe comportato di fronte alla richiesta del presidente della sua società di rimettere in campo i calciatori per questo o il prossimo mese: «"Arrivederci e grazie, trovatevi un altro al posto mio", risponderei». Sulla chat che alcuni dei medici sociali dei club di Serie A hanno su whatsapp l'argomento è bollente. E ovviamente per ora resta tutto nel mondo sommerso del non detto, o del non detto pubblicamente, per meglio dire. Nessuno per ora vuole fare passi avanti attraverso dichiarazioni forti sui giornali.
Qualcuno è ancora a letto. Tre professionisti della nostra serie A - due medici e un fisioterapista - sono stati ricoverati in terapia intensiva nelle scorse settimane. I loro nomi si conoscono: sono il dottor Baldari della Sampdoria, il dottor Pengue e il fisio Dainelli della Fiorentina. Le loro condizioni per fortuna sono date in netto miglioramento. Ma secondo le voci di dentro, questi sono solo i nomi dei medici resi noti. A scorrere negli elenchi che soprattutto qualche giornale locale si impegna a redigere se ne trovano altri tra Lega Pro e serie minori. C'è chi dice che ce ne sia un altro anche in Serie A, anche se mancano riscontri ufficiali.
Due figure di riferimento, conosciute per il loro impegno soprattutto a livello locale, sono purtroppo nell'elenco degli 81 medici scomparsi: sono il dottor Luigi Frusciante, comasco, membro anche della Commissione Antidoping, e il dottor Ivano Vezzulli, un riferimento a Piacenza per tutti quelli che sono passati nelle giovanili. Morti, sul campo, impegnati nella lotta a questo mostro chiamato Covid-19. «E noi vogliamo tornare in campo? Qui stiamo scherzando con il fuoco». A tornare a giocare stanno pensando tutti quelli che di calcio vivono, dal presidente Gravina all'ultimo dei calciatori di Lega Pro. Ne va della loro professione e, per molti, anche del conto in banca, nella stragrande maggioranza dei casi a volte appena sufficiente per arrivare alla fine del mese. Ma se da una parte la speranza, il desiderio, la voglia sono sentimenti leciti da nutrire, dall'altra dovrebbero esserci i rigidi protocolli di chi è delegato a garantire la protezione di chi va in campo a contenerli: e sono proprio i medici sportivi.
L'altra sera la loro Federazione ha in qualche modo ottemperato alla forte richiesta pervenuta dal "mondo del calcio", sfornando in tempi quasi record un elenco di raccomandazioni per "la ripresa di gare e allenamenti di varie discipline sportive, in funzione delle decisioni che saranno di competenza e assunte dalle preposte istituzioni, riguardo la data effettiva della ripartenza". Il nodo è tutto lì: che un giorno o l'altro si dovrà ripartire è chiaro a tutti, ma che si debba fare in tempi così ravvicinati, per consentire ai campionati di concludere la stagione, è questione di cui qualcuno eventualmente si dovrà assumere la responsabilità, a prescindere dai protocolli fissati che riguardano per ora solo le modalità per tornare in campo (mentre in un secondo tempo saranno fornite le indicazioni per la sanificazione di impianti sportivi, spogliatoi, locali comuni e servizi igienici).
Per ora, insomma, si dice "come" si potrà rientrare, ovviamente nessuno per il momento si azzarda a dire "quando". Sulla spinta dei presidenti più impazienti, la Federcalcio sta solo ipotizzando i cosiddetti "slot", e cioè le giornate utili per finire in tempo per non rovinare anche la stagione 2020/2021. C'è però un'altra questione che porta a una domanda che per il momento non trova risposte ma solo nuove ipotesi. Come si gestirà l'eventuale nuovo "contagiato" quando - che sia a maggio, a giugno, a luglio o a settembre - si deciderà comunque di ricominciare? L'ipotesi su cui si sta lavorando è che il futuro ed eventuale nuovo "contagiato" - sostengono presidenti e amministratori delegati evidentemente confortati da informazioni di ambito scientifico - venga assimilato ad un "infortunato".
Quando insomma la curva dei contagi sarà rientrata nei parametri meno allarmistici - il famoso rapporto R0 inferiore a 1, e cioè il "numero di riproduzione di base" porterà a meno di un nuovo infettato per ogni malato - non ci sarà più bisogno di mettere in quarantena obbligatoria tutti quelli che saranno entrati a contatto con il contagiato. Che quindi non sarà più considerato un "untore", ma un semplice infortunato, che dovrà seguire i protocolli del caso esattamente come uno che per qualsiasi altro infortunio si trovi costretto a restare inattivo e poi a fare riabilitazione fino al rientro in campo. Ovviamente tutti quelli che con lui hanno avuto a che fare dovranno comunque essere sottoposti a tampone, ma in caso di negatività non ci sarà bisogno di ulteriori provvedimenti.
La domanda che però risuona nella testa di molti medici è martellante: e se ci scappasse il morto? Chi ha letto i referti autoptici di qualcuno dei 15.887 morti finora (dato aggiornato alle 18 di ieri) dice che i danni cagionati da questo virus maledetto sono impressionanti e raggiungono molti più organi di quelli comunemente intesi. E c'è pure una questione morale: il protocollo Fmsi prevede controlli a tutti ogni 4 giorni. Ma a molti dei pazienti poi deceduti non era stato fatto il tampone per la loro difficile reperibilità: come giustificheranno i signori del calcio la necessità di avere migliaia e migliaia di tamponi a loro disposizione per giocare a pallone portandoli via, magari a suon di acquisti al rialzo, alla gente che sta male?
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