Addio a Pelé, un mito nella storia. Anche della Roma
Nato il 23 ottobre come il “Ti amo” della Sud. Ci ha sempre battuti col Santos, ma Ginulfi gli parò un rigore. A Liedholm consigliò: "Per vincere prendi Falcao, non Zico"
Edson Arantes do Nascimento, detto Pelé, era nato il 23 ottobre, giorno che per ogni romanista significa “Ti Amo”. Lui era nato 44 anni prima della più bella scenografia mai realizzata in un derby, quello del 23 ottobre 1983, e naturalmente non è quello l’unico legame di uno dei vari “più grande di sempre” della storia del calcio (definizione che un qualsiasi dibattito serio sullo sport non può prevedere, ma non è questa la sede per affrontare il discorso). Il primo incrocio con la Roma avviene mercoledì 1 giugno 1960 allo Stadio Olimpico, per una delle cinque amichevoli che, nei suoi anni, si sono disputate tra Roma e Santos. La Roma va avanti 2-0, nel secondo tempo il Santos pareggia e proprio Pelé segna il 2-2. Finché, a pochi minuti dalla fine, come racconta il Corriere dello Sport, «Pelé estrae da quella specie di cappello a cilindro senza fondo che è il suo talento, un colpo di tacco che squarcia l’area giallorossa davanti al travelato Dorval, che tira e piega le mani di Panetti». La Roma non è mai riuscita a battere il suo Santos. Il 21 giugno 1961 finì addirittura 5-0 per i brasiliani (lui segnò il gol del 4-0), che il 15 giugno 1963 vinsero 4-3, con doppietta di Pelé. Immarcabile. «Sentivi prima il vento che annunciava il suo arrivo in area di rigore, poi arrivava lui», ha raccontato Giacomo Losi nella sua autobiografia. Gustoso il racconto di Giampiero Imperi, costretto a marcarlo nel confronto del 29 giugno 1967 allo Stadio Flaminio, vinto 3-1 dal Santos. «Nel pomeriggio, mentre stavamo andando a cena, l’allenatore, che a quel tempo era Oronzo Pugliese, mi disse che durante la partita della sera mi avrebbe fatto marcare Pelé, il più grande giocatore di tutti i tempi. È stato abbastanza emozionante. Ho giocato quella partita con molta suggestione perché ero giovane e stavo marcando il più grosso giocatore del mondo. Avevo grande stima e rispetto per lui... Mi ricordo che verso la fine della partita mi disse: “Ma mi stai sempre chiedendo scusa, guarda che giochiamo lo stesso pallone!”».
Pelé vinse anche il 3 giugno 1972, ma senza segnare. Quella sera all’Olimpico, infatti, Alberto Ginulfi gli parò un calcio di rigore e, a differenza di Giampiero Imperi, che neanche ebbe il coraggio di chiedere a “O Rei” una maglia, riuscì a scambiarla con l'asso brasiliano, che non solo si complimentò con lui per la prodezza, ma provò addirittura a farlo ingaggiare dal Santos. Se gli aveva parato un rigore, non poteva essere uno qualsiasi. Non lo era, ma era troppo romanista, Alberto Ginulfi, che oltre alla maglia di Pelé custodisce anche quella di Maradona, ricevuta da Diego nel periodo in cui lavorava al Napoli nello staff di Bigon.
Una volta, però, Pelé ha perso contro la Roma. È accaduto il 13 settembre 1975 all’Olimpico, quando vestiva la maglia dei New York Cosmos. Fu la partita numero 1.277 della sua carriera, vinta 3-1 dalla Roma con i gol di Petrini, Cordova e Negrisolo. A marcarlo fu Santarini, che tanti anni prima era stato notato da Herrera proprio per la sua marcatura sulla “Perla nera” in occasione di un’amichevole tra Venezia (per la quale Santarini giocò in prestito) e Santos. Herrera lo portò all’Inter e poi alla Roma. Se Santarini è diventato una bandiera della Roma, in fondo, è proprio grazie a una sua prestazione in marcatura su Pelé. Che in quel 13 settembre 1975 era allenato da Gordon Bradley, papà di Michael Bradley, che per una stagione e mezza ha vestito la maglia giallorossa tra il 2012 e il gennaio del 2014.
I legami fuori dal campo di Pelé con la Roma, però, forse sono ancora più suggestivi. Fu lui, nel 1982, a incoronare Bruno Conti miglior giocatore del campionato del mondo di Spagna 1982, definizione che stupì perfino lo stesso Conti e che in realtà era azzeccatissima almeno quanto lo era quella di Totti «miglior calciatore al mondo» (anche se l’ha associata ad almeno una quindicina di calciatori, ma non fa niente). Non poté fare a meno di dirlo il 10 dicembre 2000, perché era in tribuna d’onore all’Olimpico e ammirò il sinistro al volo del Capitano contro l’Udinese, nell’anno dello scudetto. Con lui, gente tipo Platini e Cruijff ammirò quel gesto tecnico, perché quella sera proprio a Roma ci sarebbe stato un evento organizzato dalla FIFA.
Le suggestioni, volendo, non finiscono mai. «Vieni fuori, piccolo Pelé», disse l'ostetrica che stava seguendo la nascita di Cafu il 17 giugno (sì, 17 giugno) del 1970, proprio durante la semifinale del Mondiale del Messico tra Brasile e Inghilterra, quella della splendida parata di Gordon Banks proprio su Pelé, che dieci anni dopo avrebbe condiviso il set con Eolo Capacci (più famoso come giornalista che per la sua unica presenza con la maglia della Roma) per le riprese del film “Fuga per la vittoria”, con un fotogramma del quale omaggiamo Pelé nella nostra prima pagina di oggi.
Il film uscì nel 1981, quando a Roma già imperversava “O Rei Falcao”. Così lo definì uno striscione in occasione dell’amichevole con l’Internacional Porto Alegre in cui fu presentato per la prima volta al pubblico dell’Olimpico. Ogni grande calciatore, si associava a Pelé. Come Pruzzo, che era anche lui “O Rei”, ma da Crocefieschi.
Il punto però è un altro. E cioè che se Paulo Roberto Falcao è arrivato alla Roma, una parte di merito è anche di Pelé. Nell’estate del 1980, quando c’erano in ballo il “Divino” e Zico, Nils Liedholm, che da calciatore per pochi minuti lo aveva battuto, avendo segnato il gol del vantaggio della Svezia nella finale del Mondiale del 1958 poi vinta 5-2 dal Brasile, gli chiese un parere. «Con Zico vincerete tante partite per 5-4 e ne perderete altrettante per 4-5. Con Falcao ne vincerete tante 1-0. Con Zico si vincono le partite, con Falcao si vincono i campionati».
Con Pelé, s’è fatta la storia del calcio. E anche la storia della Roma.
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