Caos Juve tra inchieste e soliti sospetti
Con le dimissioni del Cda finisce l’era Agnelli. Exor indica Gianluca Ferrero come nuovo presidente. Il management sarà tecnico per affrontare le inchieste
Di-metti una sera a cena. Quella di lunedì dev’essere risultata particolarmente indigesta per buona parte dell’ambiente juventino, scosso dall’uscita in blocco del cda, con Andrea Agnelli in testa. Dodici anni di successi sportivi terminati in modo poco glorioso, per gli effetti collaterali dell’inchiesta Prisma che vedrà l’ormai ex presidente bianconero a giudizio in primavera. E dopo la richiesta di accertamenti dalla Consob e quella (respinta) di custodia cautelare da parte della Procura. Troppo anche per casa Agnelli. Ventiquattr’ore dopo il clamoroso passo indietro della dirigenza, il trauma è tutt’altro che assorbito. «Le dimissioni dei consiglieri di amministrazione della Juventus rappresentano un atto di responsabilità, che mette al primo posto l’interesse della società», recita la nota diramata ieri da John Elkann, che ha immediatamente assunto il pieno controllo. Cambio di rotta evidente fin dai primi istanti successivi alla bufera, con la nomina del nuovo Dg Scanavino, esponente di punta di Gedi e uomo di fiducia del plenipotenziario di Exor. E vicinissimo a Elkann è anche il presidente in pectore: «Il nuovo consiglio che nascerà a gennaio sarà formato da figure di grande professionalità sotto il profilo tecnico e giuridico, guidati del presidente Gianluca Ferrero». Commercialista, revisore, amministratore di varie società, l’uomo scelto per guidare la Juve fornisce il nuovo indirizzo: un management poco legato all’ambito meramente sportivo, ma tecnicamente pronto ad affrontare le spinose questioni giudiziarie e finanziarie nelle quali la società si è impantanata.
L’ipotesi di reato contestata è di quelle da far tremare i polsi: false comunicazioni sociali e false comunicazioni rivolte al mercato. Nel mirino di Procura e Consob sono finiti gli esercizi del triennio compreso fra il 2018 e il 2020. Non a caso le stagioni dell’operazione Ronaldo, che se ha indubbiamente fatto lievitare i ricavi in un primo momento, si è tramutata in cataclisma per le casse bianconere col passare del tempo: circa settecento i milioni di passivo, con tanto di doppia ricapitalizzazione; e soprattutto bilanci finiti sotto la lente d’ingrandimento degli organi di vigilanza. Il colpo di grazia è poi arrivato dalla fase pandemica, durante la quale la dirigenza riuscì a stipulare una speciale manovra stipendi: in sostanza a 17 giocatori di prima squadra fu chiesto di rinunciare a quattro mensilità, per poi vederle riconosciute come “bonus” in caso di permanenza. Anche in questo caso con l’eccezione CR7, che avrebbe garantito al portoghese tramite una scrittura privata 20 milioni circa anche in caso di addio, trasformando quell’uscita in debito. Si tratta della cosiddetta “Carta Ronaldo” emersa da alcune intercettazioni dell’inchiesta Prisma e legata alla presunta alterazione dei bilanci.
Inevitabile il risvolto anche sul versante sportivo. La procura federale ha acquisito gli atti dell’indagine ordinaria da pochi giorni e a differenza dell’inchiesta sulle plusvalenze fittizie, questa volta la Juventus rischia. All’epoca le ipervalutazioni dei vari Cerri, Favilli, Mandragora, Audero e Sturaro non costituirono illecito (fu ritenuto impossibile fissare il reale valore di un giocatore). Ma il filone stipendi riapre la possibilità di violazioni, soprattutto se dovesse risultare decisivo ai fini dell’iscrizione al campionato. Le sanzioni variano dalla semplice multa, alla penalizzazione in classifica, alla retrocessione d’ufficio. Un fardello enorme per la nuova-vecchia Juve.
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