Marco, tifoso palermitano di José: «Io, Mourinhista»
La scintilla scoccata a 9 anni: «Lo seguo ovunque, pranzare con lui un sogno. Mi ha fatto sentire Special. Con lui a Roma Trigoria per me è diventata come il Colosseo, meta fissa»
Metti un giorno a pranzo con José Mourinho. A meno che non si tratti di un componente dello staff, o di un elemento della rosa giallorossa, o magari di Jorge Mendes, la situazione ha poco di ordinario. Se poi lo Special One è il catalizzatore assoluto della tua passione, diventa un evento da ricordare e raccontare. «Indescrivibile»: parola di Marco Virruso, palermitano di 27 anni, tifoso di Mou, come si definisce, con la voce ancora rotta dall'emozione per l'incontro col suo idolo.
Hai coronato un sogno.
«Ancora fatico a credere di aver trascorso del tempo col mister».
Ne parli come di un eroe.
«Per me lo è, da molti anni».
Anche tu non ne hai molti: da quando lo segui?
«Ero piccolo, ma ricordo perfettamente il momento in cui è scoccata la scintilla. Si è presentato al Chelsea dicendo "chiamatemi Special One". Avevo 9 anni e mi colpì».
Perché?
«Mi piace chi dice quello che pensa e lui è diretto, coraggioso. Poi ha un carisma immenso, i miei occhi da bambino ne sono stati affascinati».
E da allora non hanno smesso.
«Mai. L'ho seguito ovunque è andato, purtroppo soltanto dalla tv perché da minorenne non avevo modo di farlo dal vivo, all'estero».
Ma da qualche mese allena di nuovo in Italia...
«...E io ne sono stato felicissimo. Appena la Roma lo ha annunciato, ho prenotato un aereo per venire nella Capitale a incontrarlo».
Quando?
«In diverse occasioni. La prima volta a settembre scorso, poco prima dell'inizio del campionato».
Sei riuscito subito a vederlo?
«Sì. Ho costretto l'amico che mi ha accompagnato a qualche piccolo sacrificio, ma siamo stati ripagati».
Quale sacrificio?
«Ci avevano detto che il mister arrivava a Trigoria molto presto e ci siamo andati alle 7 di mattina».
Quanto lo avete aspettato?
«In realtà poco. Si è presentato alle 7.15. Sulla macchina che avevamo noleggiato c'era uno striscione con scritto "Da Palermo a Roma per Mou" ed è stato lui a fermarsi per fotografarlo. Ovviamente appena ha abbassato il finestrino l'ho riconosciuto e gli sono andato incontro».
Cosa gli hai detto?
«Ero emozionato, ho chiesto foto e autografo sulla maglietta che lo raffigurava in Vespa e gli ho rivelato che lo seguo da anni. È stato super disponibile e ha ringraziato».
Una bella soddisfazione essere ringraziato da Mourinho.
«Fantastica. Mi sono ripromesso di tornare quanto prima».
E a quanto pare lo hai fatto.
«Sono venuto per Roma-Spezia e sono rimasto 5 giorni, fino alla partenza della squadra per Bergamo».
Quasi una settimana di vacanze romane, per restare in tema col famoso disegno.
«Sì, anche se sono state tutte concentrate a Trigoria, che per me è diventata una meta fissa, tipo Colosseo. Mi rendo conto che può apparire assurdo, ma ero ogni giorno lì per Mou. Una volta sono rimasto ad attenderlo fino alle 8 di sera, gli ho detto "Sono qui da stamattina apposta per te", lui mi ha risposto che se lo avesse saputo sarebbe uscito prima per salutarmi. Credo lo abbia fatto dal pullman, quando sono partiti per giocare con l'Atalanta e io ero come sempre lì: i vetri erano oscurati e non ne sono certo, ma voglio credere che fosse lui. E a proposito del disegno, in qualche modo mi appartiene ormai».
In che modo?
«Quando ho compiuto gli anni, i miei amici hanno fatto preparare una torta che raffigurava me dietro il mister in Vespa. Da quell'immagine ho fatto stampare una maglietta che gli ho portato, insieme a una lettera scritta per lui».
Venerazione, più che tifo.
«Lo è. Simpatizzo per il Palermo perché è la squadra della mia città, ma quella che allena Mou la seguo con un trasporto enorme, anche il Chelsea, il Real, tutte».
E adesso la Roma.
«Chiaro. Sono tornato per la sfida con la Juve, che ricordo con tristezza per l'esito. Ma fino al 70' della partita è stata una bella giornata: appena il pullman ha varcato i cancelli di Trigoria, mi ci sono appiccicato con l'auto fino all'Olimpico. Dietro quella della polizia, c'era la mia scorta d'affetto».
In che settore eri?
Quella volta in Tribuna Tevere, la precedente in Monte Mario, per stare alle spalle della panchina».
E poi sei tornato ancora.
«La scorsa settimana, per il compleanno del mister. Era il mercoledì, ma da lunedì ero a Roma, questa volta con uno striscione fatto in tipografia: "Vorrei proprio capire cosa mi hai fatto per farmi diventare così dipendente da te. Buon compleanno Special One" con il suo volto e un cuore disegnati».
È stata questa dichiarazione d'amore a fruttare l'incontro?
«Non proprio. Dopo ore di attesa, io e il mio amico abbiamo saputo che Mou era partito per Londra. La delusione è stata enorme, anche perché la ripresa degli allenamenti era fissata al lunedì successivo, giorno in cui avevo il volo di ritorno. Allora ho deciso di rinunciare al biglietto già pagato e di rinviare la partenza al martedì, ma la delusione è cresciuta perché fino alle 20 José non si è visto. Mi sono informato e mi hanno detto che vista l'ora, probabilmente avrebbe dormito lì».
Cos'altro hai inventato allora?
«Non volevo mollare, ho aspettato un'altra ora ma invano e il giorno dopo mi sono ripresentato alle 7 di mattina. Avevo il volo alle 20 e stavolta non potevo più rimandarlo, ma fino alle 18 avrei atteso».
Invece...?
«Invece è uscito un dipendente della Roma a chiedermi cosa facessi e saputa tutta la storia mi ha portato dentro il centro sportivo. Nella tana del lupo. Il mister mi è venuto incontro e mi ha detto "Ciao amico, come va?". Poi mi ha fatto sedere a pranzo con lui e il suo staff, ero paralizzato dall'emozione, avrei voluto dire mille cose ma sono rimasto quasi muto. E lui: "stai seduto, al tuo piatto ci penso io". Sembravo l'ospite d'onore: è stato lui a far sentire me Special».
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