L'attore ex calciatore: "Ho due grandi passioni, il teatro e la Roma"
Il venticinquenne Lorenzo Parrotto si racconta. Dal 9 al 21 Ottobre tornerà in scena al Teatro India nei panni del medico di “Reparto Amleto”
«L'attore con cui sogno di lavorare? Al Pacino. Non c'è stato un film in cui io non abbia imparato oggettivamente qualcosa da lui». Lorenzo Parrotto è un giovane attore romano, classe ‘93. È cresciuto con la passione per il mondo dello spettacolo, tra letture ad alta voce e imitazioni da piccolo che si sono poi trasformate nel mestiere dell'attore da "grande". La sua vita è legata inesorabilmente al valore del gruppo: dal teatro, dove a tal proposito ha fondato nel 2015 la compagnia "L'uomo di Fumo", al calcio, sua seconda passione, che ha praticato a livello professionistico fino a due anni fa. Lorenzo è fidanzato ma gli amori della sua vita sono anche altri, il palcoscenico e la Roma, che segue fin da bambino. Siete curiosi di vederlo recitare? Sarà al Teatro India nei panni del medico del "Reparto Amleto" dal 9 al 21 ottobre. Uno spettacolo che è un po' un esperimento: partire da un paradosso teatrale per raccontare il personaggio di Shakespeare. Amleto, infatti, viene presentato come un adolescente in preda a infinite paure. Tutto questo diventa un pretesto per rileggere l'opera shakesperiana.
Lorenzo, partiamo dallo spettacolo "Reparto Amleto". Un titolo interessante...
«Lo spettacolo nasce più o meno due anni fa, dalla penna folle di Lorenzo Collalti. Rispondo con una provocazione: Amleto è forse l'opera più rappresentata al mondo, sono stati scritti trattati, saggi, visioni di ogni tipo. Immaginate ora se Amleto fosse esausto di tutte queste interpretazioni, e decidesse di raggiungere il pronto soccorso più vicino. Questo è il nostro antefatto».
Interpreti il medico dell'ospedale. Com'è stato entrare nel personaggio?
«Interpretare un medico è molto divertente. Mi ha sempre affascinato l'eleganza, la pacatezza e il linguaggio che i medici utilizzano col paziente e con i propri colleghi. Partendo da questo poi si stravolge tutto: è un medico che ogni tanto ha i suoi momenti, "sbrocca" come si dice a Roma».
Torniamo indietro e parliamo degli inizi...
«Parte tutto da un sogno, da una passione. Da piccolo volevo interpretare, raccontare, leggere ad alta voce, imitare, e così via. Finendo il liceo ho capito che avevo bisogno di un percorso formativo di alto livello, e così ho "puntato" subito l'Accademia "Silvio d'Amico". È stato un percorso molto intenso, concluso due anni fa».
Il tuo debutto.
«In Accademia abbiamo avuto modo di andare in scena più volte, anche in teatri importanti. Ma il vero debutto per me rimane "Ragazzi di vita", diretto da Massimo Popolizio. Spettacolo corale, giovane, forte. Ricordo ancora la prima: Teatro Argentina, 26 Ottobre 2016, a due minuti dall'inizio dello spettacolo arriva una delle fortissime scosse di terremoto. Dopo pochi minuti di riassestamento riprese tutto. Lo spettacolo andò bene, ma per tutta la replica pensammo alle persone che stavano soffrendo, non lontano da Roma».
Qual è in assoluto lo spettacolo teatrale a cui sei più legato e perché?
«'Ragazzi di vita' è stato il mio debutto, e per questo forse lo spettacolo a cui sono più legato. Ma devo dire che negli ultimi giorni, con ‘Reparto Amleto', abbiamo debuttato a Londra e anche quella è stata un'emozione incredibile. In questo senso il cuore non riesce a schierarsi del tutto».
Poi nel 2015 la decisione di gestire una compagnia teatrale, "L'uomo di Fumo". Cosa c'è dietro questa scelta?
«Durante gli anni d'Accademia ci eravamo resi conto che grazie al gruppo, in diverse occasioni, eravamo riusciti a fare delle ottime cose. Ciò che ci univa era il gioco, lo sfottò, una confidenza volta a migliorarsi l'un l'altro. La possibilità di avere una critica costruttiva continua da parte dei colleghi, e la fortuna di avere a disposizione una scrittura brillante, nuova, ma non per questo priva di citazioni, di rimandi. Ci siamo prefissati l'obiettivo di lasciare un piccolo segno con il nostro lavoro, consapevoli di non puntare a cambiare la vita di nessuno, bensì di allietarla, anche se per poco. Da qui, ci siamo messi a lavorare su personaggi che vivono per un breve tempo, fanno sorridere, fanno commuovere e poi scompaiono, in poche parole, degli ‘uomini di fumo'».
Parliamo di cinema. Che differenza pensi ci sia tra recitare a teatro e per il grande schermo?
«Al cinema ho già fatto piccole cose, e in pentola ne stanno bollendo altre. Amo il cinema. All'estero non fanno differenza quando si parla di attore: dal mio punto di vista è un po' come uno strumento, deve sapere quali corde suonare e in quali momenti. Ma deve saper fare tutto. Dal teatro, al cinema, al doppiaggio, televisione, ecc.».
L'attore con cui sogni di lavorare.
«So che si tratta di un'iperbole immensa, ma l'attore con cui sogno letteralmente di lavorare è Al Pacino. Non c'è stato un film in cui io non abbia imparato oggettivamente qualcosa da lui. Ripeto: sogni da bambino ma, come si dice, ‘nel calcio non si può mai sapere…' cit.».
Quali sono le altre passioni di Lorenzo, oltre alla recitazione?
«La mia più grande passione, oltre alla recitazione, è lo sport. Ho giocato a calcio fino a 2 anni fa, arrivando anche a fare qualche presenza in Eccellenza. Trasmette molto: dal valore del gruppo, al sacrificio».
Tra queste c'è anche la Roma…
«Assolutamente si. Casa romanista, famiglia romanista, fidanzata acquisita romanista. Racconto questo piccolo aneddoto: in famiglia siamo in cinque, i miei genitori (Silvia e Ruggero) e i miei due fratelli (Matteo e Pietro). Sin da piccoli mia madre ci dice: ‘Possiamo andare in trasferta e seguire la Roma ovunque, ma voi studiatevi due-tre monumenti della città in cui la Roma va a giocare'. Ovviamente questo piccolo patto durò per poco, ma è stata una scusa per girare l'Italia, e più volte anche l'Europa (Manchester, Madrid, Londra, Monaco). E ancora oggi quando non c'è il lavoro che lo impedisce seguiamo la Lupa ovunque».
Se avessi la possibilità di spedire una lettera a un ex calciatore della Roma, a chi la manderesti e cosa scriveresti?
«È una bella domanda. Probabilmente la scriverei ad Amantino Mancini. Nell'ultimo anno di Fabio Capello mi ero follemente innamorato del suo gioco, e poi quel tacco…».
Un saluto ai nostri lettori.
«Un abbraccio speciale a tutti i lettori del Romanista! Vi saluto con una frase che ho letto anni fa sul muro dell'Accademia ‘Silvio d'Amico': ‘Prima c'è la Roma, poi, ma molto poi… il teatro'. Ci vediamo nei prossimi giorni in scena, vi aspetto».
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