"A mani nude", il romanzo di Filippo Gatti che mette allo scoperto la società
L'autore romano e romanista racconta la genesi del suo romanzo d'esordio, un thriller psicologico nato dagli appunti segnati sulle note del cellulare
"Sono manager di una multinazionale. Ma ho sempre avuto un grande amore per le parole. Parole che ho imparato nel corso degli anni a racchiudere in un unico luogo: le note del mio Iphone. È lì che ho scritto l'intero libro. È lì che nei momenti di attesa, in viaggio, allo stadio prima dell'inizio della partita scrivo". Filippo Gatti è un simpatico e intelligente ragazzo, che nutre tre grandi amori: quello per sua moglie, quello per la scrittura e quello per la Roma.
Lo scorso maggio ha pubblicato il suo romanzo d'esordio "A mani nude", un thriller-psicologico di grande patos adatto ad un pubblico eterogeneo che ama i racconti intensi e imprevedibili. Si tratta di un romanzo che mette a nudo la società d'oggi, con i suoi affari sporchi, la spietata violenza ma anche con il suo disperato bisogno d'amare, nonostante tutto e contro tutte le convenzioni.
«Ho pensato ad una storia, me ne sono innamorato e l'ho scritta di getto, senza pensare ad un genere da cui iniziare. La difficoltà è stata, semmai, scendere a patti con la mia coscienza», aveva dichiarato Filippo al momento della pubblicazione. «Ne è derivato un noir con una forte componente psicologica, che mette a nudo le nostre debolezze, perché va a fondo negli istinti degli esseri umani».
All'interno del romanzo c'è una fortissima voglia da parte dell'autore di raccontare se stesso in movimento nella società odierna, piena di aspetti anche un po' torbidi. «C'è una marcata dose di sofferenza all'interno del romanzo stesso, che però, se vista dall'interno, riesce ad essere meno torbida e più chiara», racconta. Ambientato nel Sud Italia, tra Puglia e Sicilia, "A Mani Nude" racconta, quindi, le contraddizioni del nostro Paese, le vite di personaggi che, in un crescendo romantico e drammatico, vivono nella società contemporanea fatta di mille problemi e di profonde delusioni, tra valori morali che si capovolgono e carte in tavola che cambiano continuamente.
L'idea dell'autore è quella di parlare ad una vasta platea: «Il romanzo è rivolto a chi almeno per una volta nella vita ha amato senza essere ricambiato, ha pensato di non farcela, a chi deve combattere contro se stesso, ancor prima che contro gli altri. Ciò che mi piace pensare è che chi dedicherà un po' del suo tempo a leggerlo, provi a vedere il mondo, ma soprattutto le persone da un'altra prospettiva, quella del più debole. Non è detto che gli eroi siano sempre i buoni».
La trama
Un abuso su un bambino che ne segna la crescita. Un brutale killer e un uomo che combatte alla ricerca di sé stesso. Una ragazza che vende il suo corpo al miglior offerente. Sullo sfondo delle meravigliose contraddizioni del Sud Italia, le loro vite si sovrappongono in un crescendo romantico e drammatico, tra valori morali che si capovolgono e carte in tavola che cambiano continuamente.
Tre omicidi portati a termine con lo stesso modus operandi, insomma, per un romanzo che lascia senza fiato e che cela attraverso un racconto molto articolato la violenza psicologica e fisica del terzo millennio, dove virtuale e reale si mischiano molto facilmente. Sul luogo del crimine nessun testimone, solo piccole tracce come fogli di carta con messaggi scritti dal contenuto poco comprensibile, e sullo sfondo il mondo dei giornali e della cronaca nera che per classificare l'accaduto paragona il killer al famoso boxer Roberto Duran il cosiddetto "Mani di pietra".
Filippo Gatti, tifoso romanista
"A mani nude" è un romanzo dai tratti fortemente autobiografici. A darcene testimonianza sono le primissime pagine del testo dove l'autore ricorda il personalissimo e intrigato episodio di incontro con la sua squadra del cuore, quella che gli avrebbe rapito il cuore da lì all'eternità. Tutto si ricollega allo stretto rapporto con zio Cesco di cui dice «con imbarazzo e senso di colpa nei confronti di mio padre, oggi ammetto che per me era un modello che aveva sostituito la figura paterna».
Fu proprio lui, zio Cesco, a fargli conoscere la Roma, a farlo innamorare del calcio dopo un primo tentativo fallimentare del papà durante Lazio-Avellino. Filippo in quel Roma-Udinese in Monte Mario con zio Cesco, aveva scoperto che cosa meravigliosa fosse il gioco del calcio, aveva sperimentato l'atmosfera mozzafiato dell'Olimpico gremito di tifosi con la sciarpa giallorossa al vento, si era definitivamente innamorato.
E oggi è ancora un tifoso romanista di quelli veri. «Sono un tifoso un po' insolito, non sono uno di quelli che ragiona per singoli giocatori o che difende la sua squadra anche quando è palese che vada rimproverata», racconta. «Amo la Roma. So che sarà un amore che non finirà mai. Ma la tifo in maniera critica. Mi piace parlare di calcio in generale, mi piace capire cosa c'è dietro, applicare a questo sport alcune delle regole di disciplina e dedizione che funzionano ovunque, anche nella multinazionale per cui lavoro».
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