Piotta riscrive “Lella”: «Il mio inno un po’ rap»
Torna con un brano iconico romanesco, arricchendolo di un nuovo finale: «Volevo scrivere una parte di testo ex novo senza tradire l’originale».
Te la ricordi "Lella"? La canzone scritta da Edoardo De Angelis e portata in auge da Lando Fiorini - impressa a pieno titolo nella memoria audiovisiva di ogni romano e del cantautorato italiano, dal significato fortemente drammatico (narra un femminicidio) - torna con una nuova versione firmata dal rapper Tommaso Zanello in arte Piotta. È lui che riesce a ridare al brano un respiro contemporaneo senza però intaccare la naturale poesia dell'originale. Lo fa a cinquant'anni dalla sua prima pubblicazione, avvenuta nel 1971, abbracciando sonorità nuove, più urban e moderne, aggiungendo anche un nuovo finale: «più catartico forse...Un assassino, che non riesce a darsi pace e si rivolge al tribunale di Dio».
Reinterpreti una delle canzoni che fanno parte della tradizione musicale italiana. Tanti autori romani (e non) lo hanno fatto…La tua che versione è?
«Tutte le mie ultime produzioni, da "Sette vizi Capitale" fino all'album "Interno 7" passando per "Suburra", sono un mix delle mie esperienze più significative. C'è la matrice rap degli esordi, che è presente anche in questo caso con la parte di scrittura nuova, c'è la parte più cantautorale, che appunto è palese con la scelta del brano e c'è anche un aspetto compositivo molto più evocativo e struggente, a volte è presente con le chitarre acustiche o appunto con il pianoforte, che in questo caso è incredibilmente suonato da Francesco Santalucia, con cui mi trovo benissimo. Insieme creiamo delle piccole magie, come "Lella... E poi". Una canzone che a Roma è un po' un inno. Questo strano contrasto tra una musica quasi ballabile e un testo drammatico. Quando lo scopri hai quasi un senso di colpa. Io ho pensato fosse giusto rimettere a sedere musicalmente il brano in modo che le note e le parole viaggiassero nella stessa direzione così fortemente drammatica».
Hai avuto anche la benedizione degli autori originali: Edoardo De Angelis e Stelio Gicca Palli.
«Sì, ne sono rimasti entrambi molto contenti. Mettere le mani su "Lella" non era per niente una cosa facile. Un brano al quale siamo tutti emotivamente legati, un patrimonio collettivo, è normale anche avere un po' di ansia da prestazione. Bisogna essere originali mantenendo rispettosamente quello che è l'opera ideata a monte, trovando la tua via che la differenzi dall'originale, ma anche dalle altre rivisitazioni».
Nel finale aggiungi anche una parte di testo…
«Sì, io volevo scrivere una parte di testo ex novo - e ringrazio gli autori per avermelo permesso – in modo però da non tradire l'idea originale della canzone e della narrazione ma aggiungendo un qualcosa che facesse arrivare in qualche modo a una conclusione morale. Mi sono quindi immaginato questo ragazzo di borgata, dai tratti fortemente pasoliniani, ormai vecchio, che torna sul luogo che da sempre ha segnato la vittima ma anche la sua vita, con un continuo senso di colpa. Torna ogni anno per ricordare quello che ha fatto e per, in qualche modo, espiare il peccato e lo fa in questo caso cercando il giudizio di Dio ma in modo spavaldo: "Aprime le porte che salgo pago il conto e mandame all'inferno" consapevole di quello che ha fatto».
La definisci un patrimonio collettivo e per la sua uscita in radio è stata scelta come data proprio la ricorrenza della Giornata Mondiale UNESCO per il patrimonio audiovisivo (27 ottobre). "Lella" poi si canta addirittura allo stadio…
«La musica è strana perché può comunicare a più livelli. È il merito del suo linguaggio universale che riesce ad arrivare con le parole o con gli accordi ma anche di pancia o di cuore… Insomma un varco lo riesce a trovare per creare un contatto con l'essere umano. Poi sta all'ascoltatore capirla ed elaborarla, anche semplicemente in base alla sua anagrafica. "Lella" è tutto questo, è patrimonio di tutti e arriva anche dentro una curva. Non posso che essere contento se 20/30.000 persone di un settore la cantano all'unisono. Poi magari qualcuno la capisce di più, altri meno. C'è chi andrà anche a rileggersi il testo per capire meglio il senso fino in fondo».
Qual è il tuo rapporto con la Roma? Vai allo stadio?
«Io sono un tifoso della "Magica", continuamente speranzoso, aspetto sempre il famoso anno buono. Un po' ho perso il conto però. Non sono un grande frequentatore dello stadio ma una delle mie prime partite che ricordo nitidamente fu un Roma-Borussia Dortmund di Coppa Uefa, nei primi anni 90, e fu un'esperienza bellissima. Oltre all'aspetto sportivo chiaramente è bello l'effetto collettivo dello stadio che non può esistere da casa, tutti insieme. Ridere o piangere che sia»
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