Intervista a Enrico Michetti: "Lo Stadio della Roma in 100 giorni"
"Olimpiadi occasione persa. Il nuovo impianto darà lavoro a molte persone, lo vedrei nell’area dove la Roma è nata. A Testaccio, per cui la zona del Gazometro"
Secondo capitolo del viaggio de il Romanista verso le elezioni che sceglieranno il nuovo sindaco della Capitale. Dopo il sindaco uscente Virginia Raggi, abbiamo parlato con il candidato del centro-destra, il Professor Enrico Michetti, avvocato, professore di Diritto degli Enti Locali presso l'Università di Cassino, direttore de La gazzetta amministrativa e del Quotidiano della P.A. Sentiremo tutti gli altri candidati e a tutti faremo le stesse domanda con un solo interesse, quello di Roma e dei romani.
Cominciamo con una domanda scontata. Come nasce la sua candidatura?
«La mia candidatura nasce dopo un periodo di incubazione, perché credo sia la prima volta che tutti i partiti di centrodestra si ritrovano ad avere un unico candidato. Si è aperta una dialettica che ha coinvolto esperienze diverse e ideali diversi. Debbo dire che alla fine la riduzione di unità è stata una riduzione che mi ha favorito: mi è stata chiesta soltanto di garantire una buona amministrazione ».
Cosa si sente di poter garantire al Campidoglio e alla città?
«La mia esperienza prima di tutto. Questa volta è capitato che mi hanno chiesto di agire in prima persona e mettersi a disposizione della propria comunità è comunque un grande onore. Certamente il mio potrà essere un apporto di esperienza, di competenza specifica della materia amministrativa, potrà essere credo un mio segno distintivo. A me non piace parlare degli altri candidati, che non sono avversari, ma colleghi. Io parlerò esclusivamente dei programmi. L'ho fatto dal giorno in cui sono stato candidato. Vorrei far capire come si può passare dall'idea all'atto concreto, come agire attraverso un corretto esercizio del potere».
Di norma nel nostro Paese vige il principio della cosiddetta "continuità degli atti amministrativi". Principio un po' stravolto dall'attuale sindaco. In particolare nella storia di Tor di Valle, con una delibera rivista drasticamente e che poi non ha trovato una positiva conclusione. Lei come si pone?
«Il principio della continuità degli atti amministrativi è un principio sacro. La pubblica amministrazione prescinde dall'alternanza delle consiliatura e dal fatto che al vertice ci siano elette persone di orientamenti politici diversi. La differenza tra Roma e Milano è stata proprio questa. Se io non attacco nessuno non è soltanto perché mi ritenga una brava persona, ma perché quando si maturano dei rancori, quando si si creano delle fratture, poi è tutto a nocumento e a detrimento di quella che è la buona amministrazione. Per non infierire sul passato è chiaro che lo stadio era già praticamente fatto. Poi si può discutere se quella fosse una corretta ubicazione o se, tanto per dire, l'altezza delle torri potesse disturbare la visuale della cupola di San Pietro. Ma dal punto di vista della tecnica procedimentale lo stadio della Roma era praticamente fatto».
Due temi per entrare nel vivo delle cose che più ci interessano: Olimpiadi e stadio della Roma.
«Le Olimpiadi sono state un'occasione persa. Questo credo che sia ormai un dato oggettivo. Si potevano realizzare tante opere, si poteva creare tanto lavoro, si poteva rilanciare l'immagine della città a livello internazionale. Roma deve tornare ad essere attrattiva e io ricordo che le Olimpiadi del 1960 portarono per esempio l'aeroporto Leonardo da Vinci. Roma non aveva un aeroporto internazionale che invece viene inaugurato cinque giorni prima delle Olimpiadi. Immaginate ora l'Olimpico. Immaginate come l'assetto della viabilità abbia subito un effetto positivo da tale evento sportivo. E poi il Flaminio che era era stato concepito come Villaggio Olimpico. Questo è un corretto modo di gestire l'evento sportivo. Se lo si fa seguendo queste prospettive è chiaro che l'evento sportivo è un facilitatore».
E veniamo ora al nuovo Stadio della Roma.
«Se la Roma ha un progetto, come io penso che abbia, o anche solo l'intenzione di realizzare l'impianto, per un sindaco deve essere un'occasione straordinaria per riqualificare un territorio. Quindi io sarei disponibile ad ascoltare la Roma e disponibile a far sì che se questa idea si traducesse all'interno di un documento di fattibilità e si aggiungesse anche un documento di natura economico finanziaria di sostenibilità dell'opera, attraverso una breve istruttoria preliminare, una conferenza di servizi preliminare e 30 giorni, nei primi cento giorni ci possano essere i presupposti per il rilascio del pubblico interesse. Insomma, se tutto andasse liscio, noi potremmo nei primi cento giorni licenziare in Consiglio comunale il pubblico interesse, che poi è l'atto fondamentale che dà il via alla vera conferenza dei servizi dove si debbono acquisire tutti quei pareri, i nulla osta, i titoli applicativi necessari a rendere la pubblica l'opera idonea».
Quindi con la Roma non ha ancora parlato?
«Mi riservo di non commentare (ride, ndr). Diciamo che io ho buoni rapporti, ma preferisco commentare solo gli incontri ufficiali. E però ho come la sensazione che la Roma abbia una buona iniziativa di carattere imprenditoriale, che possa portare lavoro e che possa arricchire un quadrante della città, che possa dare una casa a una grande passione, e che poi porta il nome della città. Io credo che ci sia già un'idea in questo senso, e che sia dal punto di vista economico finanziario sostenibile».
Lo stadio lo vede dentro o fuori la città?
«Dentro la città. E se mi posso permettere lo stadio della Roma io lo vedrei più a ridosso possibile dell'area dove la Roma è nata. A Testaccio, per cui la zona del Gazometro, degli ex Mercati Generali. Quella zona la troverei particolarmente evocativa dal punto di vista dell'amministratore della città, si prenderebbero due piccioni con una fava, riqualificando un territorio e al contempo dando soddisfazione ad una passione sportiva. E poi si creerebbe lavoro. Generare lavoro è il primo compito del primo cittadino. Il resto viene tutto dopo. Una città deve essere in grado di offrire opportunità di lavoro, che è quello che dà dignità alla persona e rende la persona libera».
Roma ovviamente non è solamente lo stadio della Roma. Ci sono tanti impianti già esistenti lasciati completamente in stato di abbandono. Il Flaminio per esempio, o Campo Testaccio.
«Quelle sono due realtà che vanno affrontate trovando soluzioni diverse, perché sono due realtà diverse. Il Flaminio è vincolato, c'è un piano conservativo. Oggi sono subentrate tante norme che chiedono adeguamenti dal punto di vista sismico e che rendano fruibile l'impianto. C'è poi l'esigenza credo di dover coprire l'intero stadio, di far fronte all'inquinamento acustico, di migliorare gli standard della viabilità e della mobilità, di garantire un accesso e un deflusso in tempi rapidi. Un recupero totale quindi richiederebbe un interesse di una squadra. Laddove ci fossero i presupposti e la volontà di farlo anche lì è chiaro che ci sarebbe l'interesse da parte del sindaco di riqualificare quel territorio e quell'area. Io ritengo che questa nuova consiliatura debba essere una consiliatura del fare, per creare occupazione e lavoro. Roma è stata sempre attrattiva perché rappresentava un sogno».
Il Giubileo può essere importante come occasione?
«Il Giubileo è straordinario. Porterà tanti pellegrini da tutto il mondo e sarà un momento di condivisione con la città, che è sempre stata profondamente ecumenica. Dovremo garantire una città che sia pulita, che sia efficiente, che sia quindi moderna, che sia accogliente e che sia sicura. C'è molto da lavorare perché ci dovremmo presentare all'evento facendo anche tutte quelle infrastrutture necessarie a rendere possibile una maggiore fluidità dei trasporti. Bisognerebbe fare in modo che questa città sia pronta con dignità a raccogliere i cittadini che vengono da tutto il mondo».
Sempre a proposito di investimenti. Si torna a parlare di una legge speciale per Roma Capitale.
«Certo Roma deve avere poteri adeguati al ruolo che svolge e dovrebbe avere le stesse chance e veder riconosciuti gli stessi poteri che hanno le grandi capitali europee. Questo però non deve essere un alibi, perché Roma se non funziona non è soltanto perché non ha i poteri speciali, ma perché molto probabilmente gli attuali poteri non vengono spesi nella maniera dovuta. Roma non è che sia amministrata male, non è amministrata affatto, è un pochino come una barca senza timone. Chiaramente che Roma venga approvvigionata da maggiori risorse, anche di natura finanziaria, sarebbe una cosa positiva. Però ripeto che il problema è che gran parte dei poteri attuali non sono utilizzati come si dovrebbe o come si potrebbe».
© RIPRODUZIONE RISERVATA